Nell’ultimo decennio, si è parlato dei Puddle Of Mudd praticamente solo per le “disavventure” (chiamiamole così) del frontman Wes Scantlin.

Discograficamente ferma dall’album di cover “Re:Discovered” del 2011, la band statunitense non pubblica un disco di inediti da “Volume 4: Songs In The Key Of Love & Hate” del 2009, e dopo due tentativi andati a vuoto (nel 2014 e nel 2015) è arrivata la volta buona con questo “Welcome To Galvania”, quinto album in studio e primo licenziato tramite Pavement Music.

Sgombrando il campo da eventuali dubbi (perlomeno nelle sue intenzioni), Scantlin sostiene di aver risolto tutti i propri problemi (principalmente di dipendenza dall’alcol) e di essere di nuovo pronto e concentrato sulla propria band, grazie anche ad un ottima alchimia con la nuova casa discografica. Band tra l’altro completamente rinnovata rispetto al passato, ed impreziosita dall’ottimo batterista Dave Moreno (già al servizio di Bruce Dickinson).

Finiti quindi i tempi delle scenate sul palco, delle accuse di playback e delle mancate presenze ai live, Scantlin e compagni ripartono da un disco che è in tutto e per tutto un secco e diretto ritorno alle origini. Messo da parte il sound più “patinato” delle ultime due prove in studio (che però aveva dato ottimi risultati con il sottovalutato “Famous”), si riparte dal quel post grunge grezzo e pesante punto di forza degli inizi della band.

“You Don’t Know” apre con un riff quasi sabbatthiano per poi lasciar spazio alla vocalità cobainiana di Scantlin, di nuovo in grandissima forma, e precede il singolo “Uh Oh” , ottimo saggio dell’invidiabile bravura della band nel costruire il singolo perfetto (torna in mente la “Beverly Hills” di weezeriana memoria). Le chitarre furiose di “Diseased Almost” entusiasmano, così come lo spaccato à la Alice In Chains della memorabile “Sunshine”, forse il miglior pezzo della band dai tempi di “Psycho”.

Dove ci si aspettava qualcosa in più da Scantlin e compagni forse era nel terreno ballad, qui certo non carenti ma nemmeno entusiasmanti (“My Kind Of Crazy”, “Time Of Our Lives” e “Slide Away” sono ben costruite e piacevoli, ma manca l’aggancio melodico vincente di episodi come “Blurry”, “Radiate” e “We Don’t Have To Look Back Now”).

Un buon ritorno ed una discreta ripartenza per i Puddle Of Mudd. Se Scantlin manterrà i suoi buoni propositi, il quartetto statunitense potrebbe davvero rilanciarsi con le prossime mosse discografiche.

Brano migliore: Sunshine

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