Un capolavoro delle dimensioni di “Operation: Mindcrime” avrà certamente conferito (a merito) l'immortalità artistica a Geoff Tate e compagni, ma è impossibile negare come nel tempo quel capitolo, essenziale per le evoluzioni dell'intero universo metal progressivo, sia finito per rivelarsi un sonoro cazzo nel culo anche per una grande band quale i Queensryche sono.

E così ogni uscita successiva dei cinque di Seattle dovrà forzatamente fare i conti con l'album che li ha consacrati e lanciati nel gotha del metal più intelligente e raffinato: un'eredità troppo pesante, anche per una band talentuosa e superlativa come è quella di cui stiamo parlando.

Se c'è tuttavia un album che a mio parere non teme il confronto con l'Operazione, è senz'altro questo “Promised Land”, sicuramente meno popolare dell'illustre predecessore, ma non meno ispirato e denso di spunti creativi ed intuizioni vincenti.

E' il 1994 e i Queensryche decidono di affrancarsi dalle sonorità ammiccanti e sfacciatamente commerciali che avevano caratterizzato il buon, seppur non monumentale, “Empire”, per lanciarsi in un percorso difficile e di difficile (forse impossibile) emulazione.

“Promised Land” è l'album che in molti hanno provato a rifare, l'album che i Dream Theater nemmeno si sognano, l'album che è stato avvicinato, ma non raggiunto, da molti nomi illustri del metal pensante, e mi vengono in mente, in ordine sparso, i Fates Warning di “A Pleasant Shade of Grey”, i Nevermore di “Dreaming Neon Black”, i Pain of Salvation di “Remedy Lane”.

Ma cosa ha in più “Promised Land” rispetto a tutto il resto del metallume impegnato?

In “Promised Land”, anzitutto, i Pink Floyd cessano di esistere come citazione, ma sopravvivono, disciolti, nel linguaggio ormai inconfondibile della compagine di Seattle, compatta ed allineata come mai era avvenuto in passato. Le coordinate dell'album vanno così ricercate non più nel vasto calderone dell'heavy metal classico, bensì fra un “The Wall” ed un “The Final Cut”. Mai prima, potremmo dire, si era riusciti, in ambito metal, a meglio catturare l'anima dei tardi Pink Floyd (laddove band come Voivod e Tiamat, nei medesimi anni, preferivano riscoprire le origini psichedeliche della gloriosa formazione inglese). Mai prima, potremmo concludere, un album metal era riuscito a sondare così in profondità gli abissi dell'anima umana; mai era riuscito ad assumere risvolti psicologici così nascosti; mai a cogliere sfumature esistenziali così difficilmente maneggiabili.

“Promised Land” è un concept-non concept, ove non si racconta una storia, dove non si segue una trama narrativa: “Promised Land” è una cinica riflessione sul senso della vita. E paradigmatico, a tal fine, risulta essere il breve incipit “9:28 A.M.”, dove il bip prolungato di un cardiogramma piatto viene accoppiato al vagito di un neonato.

Senza manie di grandezza la band americana rivolgerà il proprio torbido riflettore verso i temi dell'emarginazione e dell'insondabile abisso che separa l'Io Reale dall'Io Ideale: emarginazione dalla società, dalla sanità mentale, dalla famiglia, dai dettami culturali predominanti, da se stessi. I densi e fangosi colori che caratterizzano la copertina (che ritrae ancora una volta l'affascinante logo della band) ben rappresentano quel senso di alienazione, fallimento, empietà, perdita irreparabile che intendono evocare le plumbee atmosfere dell'album.

Tale è la coesione concettuale che fonde i diversi tasselli del mosaico, che non vi è bisogno di ricorrere all'espediente del tema musicale dominante da prendere e riprendere nel corso dell'album; o, peggio, ancora, del tema che apre e chiude il viaggio (espediente utilizzato semplicisticamente dalla maggior parte di coloro che pretendono edificare un concept-album). Né si rende necessario fondere i brani fra loro, poiché qualche secondo di silenzio non può interrompere il flusso emozionale che attraversa l'intera opera (anche se qua e là dei brani rimangono fisicamente collegati fra di loro, ottimamente aggiungerei, e non in modo forzato).

Dulcis in fundo, troviamo una formazione all'apice della propria coesione: i cinque musicisti danno del tu ai rispettivi strumenti, preferendo tuttavia non abbandonarsi a sterili barocchismi, bensì a ricercare ed edificare un percorso ragionato tendente al minimale, come se i Nostri avessero proceduto per sottrazione, estirpando e limando progressivamente tutto ciò che sia risultato loro superfluo.

E ciò, in questo caso, non fa rima con monotonia o artefatta omogeneità. Per questo non ci stupiamo se, appena trascorso l'intro, l'album esplode con la scoppiettante elettricità di un brano zeppeliniano come “I Am I”, per poi proseguire con la pesantezza del metal moderno di “Damaged”, per stemperarsi, infine, in due intense ballate dal vago sapore floydiano, “Out of Mind” e “The Bridge” (poste una di seguito all'altra – altro elemento insolito nel metal, che generalmente concepisce il brano atmosferico come un lecito momento di pausa per riprendere il respiro).

Un plauso, in particolare, ai preziosismi del basso di Eddie Jackson, ruvido e roccioso nei brani duri, fluido ed elastico in quelli lenti: ascoltatelo, per esempio, come dialoga con gli struggenti assoli di chitarra del sempre ottimo De Garmo, gilmouriani più che mai, nell'intenso intermezzo della già citata “Out of Mind”.

La title-track rappresenta l'apice emotivo dell'album, nonché il momento più cinicamente abissale: un amaro dialogo interiore animato da un senso di disfatta esistenziale, sensazione resa egregiamente dall'interpretazione teatrale di un Geoff Tate che amiamo immaginarci riverso su un patinato bancone a farsi mescere un bicchierino dopo l'altro. Tate (e come poteva essere altrimenti?) è il protagonista assoluto dell'album, ma in questo frangente il Nostro supera se stesso, finendo per tributare l'estro angosciante di maestri del disagio esistenziale quali Roger Waters e Peter Hammill. Da antologia il finale del pezzo, macabra marcia funerea, che sfuma nel caos notturno di un bar, fra le voci della gente, un sax dilaniante e le grida deliranti di Tate, fin quando una porta scricchiola e si chiude, ed il brano trova conforto nella quiete della notte, nel mesto canto dei grilli, nel fruscio di passi che affondano nella ghiaia.

La seconda parte dell'album soffre inevitabilmente di un fisiologico calo di tensione, anche se la metropolitana “Disconnected”, aperta da soffici basi elettroniche ed animata dal fosco recitato di Tate, piace per i suoi sperimantalismi vagamente funky, mentre l'orchestrale (e meglio orchestrata) “Lady Jane” è un capolavoro formale, in grado di svelare un'insospettabile anima beatlesiana.

Piace di meno la doppietta costituita da “My Global Mind” e “One More Time”, che riscopre il tipico sound dei Queensryche vecchia maniera, oramai decisamente fuori luogo se teniamo conto del contesto di riferimento.

A risollevare le sorti del tutto giunge appena in tempo la conclusiva “Someone Else?”, altro momento di grande intensità emotiva, dove Tate viene lasciato solo con il suo pianoforte: una struggente ballata che chiude l'album all'insegna del dubbio e di domande a cui è difficile rispondere. Un livido, emaciato, grande punto interrogativo.

La dipartita del fondamentale De Garmo, ahimè, sarà un duro colpo per le sorti della band che, all'apice della propria creatività, sembrerà perdere la bussola (ma non la voglia di sperimentare!), approdando all'infausto sound grungeggiante di un album come “Hear in the New Frontier”, estrinsecazione di una incipiente crisi di identità e di tutte le difficoltà di una band che, nata e cresciuta negli anni ottanta, troverà nel confrontarsi con un mondo (musicale e non) ormai (terribilmente) mutato.

Questa è la vita... e non ve l'abbiate a male se non me la sono sbattuta per i puntini della dieresi sulla Y, proprio non li digerisco, un po' come la doppia M maiuscola dei MayheM...


Elenco tracce testi e video

01   9:28 A.M. (01:43)

02   I Am I (03:56)

Beating with life you promised life,
security, happiness.
Unfortunate son cornered,
cowering in the pit of
circling panes of glass that
surround and reveal the ever present "It".

"It" is my move, my every look,
interpreting gestures,
informing other
what's undercover and
lurking beneath my mask
of this year's featured model.
Is this too much?
Close your eyes.
Care to look inside? I am I!

What may appear
might easily be explained,
but given the situation
of info saturation,
what you feel can never go away.

Steering perception? I am!
Inviting contradiction? I am!
It's my insistence
you keep your distance
from the glare behind my stare.
So this is the way
the game is played.
You can leave now...
but I think you'll stay. I am I!

03   Damaged (03:58)

Waiting for the feeling to subside,
Paranoid, I melt into myself.
They say I'm to reach inside and find
the broken part of my machinery.
Psychoanalyze the chapters
on the path to my darkest day.
Searching for the answers,
all I see is damage through the haze.
Picking up the pieces of my life
with no direction for re-assembly.
The one that lays beside me
is sharing scars of my broken yesterdays.
Will tomorrow find me hypnotized? Crying?
Mother Mary in control,
domineering stranglehold
sowing destructive seeds
for the scavengers to feed.
Driving the nail into my head,
memory flows like a river.
With the one that lays beside me
I'm healing scars from my childhood memories.
Tomorrow finally found me.
I'm hypnotized. I'm trying...
to understand the chapters
of the path from my darkest day.
Searching for the answers
but there's DAMAGE!

04   Out of Mind (04:35)

05   Bridge (03:29)

You called me up on the phone today
struggling with the right words to say.
Time can change a thing or two.
Time has changed the lives of me and you,
but you know... it could have been different dad.

The word brings back a sweet memory.
I'm sitting on a bluff on a broken tree,
by my side a distinguished man
giving me encouragement, telling me I can,
and you know... you're not there.

You say, "Son, let's forget the past,
I want another chance, gonna make it last."
You're begging me for a brand new start,
trying to mend a bridge that's been blown apart,
but you know... you never built it dad.

So I sit here through the night,
and I write myself to sleep,
and time keeps ticking...

Time has made you finally realize
your loneliness and your guilt inside.
You're reaching for something you never had,
turning around now you're looking back,
and you know... I'm not there.

You say, "Son, let's forget the past.
I want another chance, gonna make it last."
You're begging me for a brand new start,
trying to mend a bridge that's been blown apart,
but you know... you never built it dad.

06   Promised Land (07:58)

07   Disconnected (04:44)

I've got to do something
about the loathsome
state I'm in.

Disconnected
Disconnected
Disconnected

Everywhere I see decay.
Mechanized and sterilized
visions of replay.
I must release my rage.

Oh...Disconnected
I'm...Disconnected
feeling so...Disconnected

Down.........

Maybe all I need
beside my pills
and the surgery
is a new metaphor for reality.

I'm...Disconnected
feeling so...Disconnected
oh...Disconnected

- you know -

08   Lady Jane (04:14)

09   My Global Mind (04:21)

There's hunger in Africa,
and anger on assembly lines.
At the touch of a button
I'm miles away.
I want no connection, just information,
and I'm gone.

I feel so helpless,
so I turn my gaze to another place.

My global mind reaches out for the truth.

Why try holding back the wave?
You'll only drown in the changes.
You've got to learn to let go.
Just let go and experience the flight.
Try to see from a different side..
If balance is the key
maybe we'll see
a future understanding,

then we won't feel so helpless,
an turn away and hide from the change.

My global mind searches for something new.
My global mind zeros in on news.

Time and rules are changing.
Attention span is quickening.
Welcome to the Information Age.

I feel so helpless,
so I turn my gaze to another place.

My global mind searches for something new.
My global mind zeros in on news.
My global mind reaches out for the truth.
My global mind zeros in on you.

It's searching everywhere,
across the mountains,
across the oceans,
across every man made line.
No boundary gonna keep it from you.

10   One More Time (04:18)

11   Someone Else? (04:44)

When I fell from grace
I never realized
how deep the flood was around me.
A man whose life was toil
was like a kettle left to boil,
and the water left scars on me.

I know now who I am.
If only for a while,
I recognize the changes.
I feel like I did before the
magic wore thin and the "baptism
of stains" began.

They used to say I was
nowhere, man,
heading down
was my destiny.
But yesterday, I swear,
that was someone else not me.

Here I stand at the crossroads edge,
afraid to reach out for eternity,
One step, when I look down,
I see someone else not me.

Looking back and I see
someone else.

All my life they said I
was going down,
but I'm still standing,
stronger, proud.
And today I know there's
so much more I can be.

From where I stand at the crossroads edge,
there's a path leading out to sea.
And from somewhere
deep in my mind,
sirens sing out loud
songs of doubt
as only they know how.
But one glance back reminds, and I see,
someone else not me.

I keep looking back
at someone else... me?

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Altre recensioni

Di  ilvinox

 "Promised Land è l'ultimo grande capolavoro firmato Queensrÿche, con complessità esecutive e ricerca sonora da brividi."

 "Un disco complesso ma non di difficile ascolto, consigliato agli amanti del rock sottile ed introspettivo."