Già nel suo primo film, uno dei più folgoranti e importanti esordi della storia del cinema, Tarantino metteva in chiaro quali fossero le sue idee, quale fosse il suo manifesto poetico, autoriale e programmatico.

"Le cose importanti da ricordare sono i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile!”

Ne Le Iene, la cui prima scena è la famosa spiegazione sul significato nascosto di Like a Virgin, lo sbirro infiltrato Mr. Orange viene istruito (la "storia del cesso") sull'importanza dei dettagli e dell'immedesimazione, come se fosse un novello Marlon Brando con il metodo Stanislavskij, per rendere credibile il suo personaggio e portare così a termine la missione.

"Dai forza, entriamo nei personaggi", dirà Jules a Vincent in Pulp Fiction.
Tutto il cinema di Tarantino è immedesimazione, racconto - cosa c'è di più cult della storia dell'orologio del padre di Butch? -, affabulazione. Fassbender che in Bastardi senza gloria si infiltra, a sua volta, tra i nazisti, per poi venire tradito proprio da un dettaglio impensabile, il modo di fare il "tre" con le dita.

In The Hateful Eight, il maggiore Marquis inventa la storia della lettera ricevuta dal Presidente Lincoln, nientemeno. E per renderla toccante e così, intrinsecamente, autentica, lascia alla fine un vero tocco d'autore.

"La mia cara vecchia Mary mi chiama, quindi immagino che sia tempo di andare a dormire".
"La mia cara vecchia Mary, questo è un bel tocco", chiude così il film lo sceriffo in pectore di Red Rock Chris Mannix, congratulandosi col Maggiore per lo stile della falsa lettera.

Il cinema di Tarantino è un insieme di scatole cinesi, di narrazioni e citazioni, dentro altre narrazioni e citazioni. Di finzioni. Il cinema di Tarantino è una charade.

C'era una volta a Hollywood renderà tutto questo più esplicito, dando una forma definitiva all'opera del genio americano originario del Tennessee.

Nei suoi film i personaggi ammiccano allo spettatore, vanno a ritmo della colonna sonora, sono parte di un gioco al massacro mosso dall'alto, dal Deus ex machina. Che è il regista stesso.

Ma il regista/autore riflette anche su se stesso, in modo indiretto. Anche quando parte da un soggetto non proprio, in quell'unico caso che è Jackie Brown. Anzi, forse proprio questo unico film non originale, tratto da Ellmore Leonard, è quello che mostra riflessioni esistenziali più forti, intime e profonde.

A proposito, quindi, di dettagli: Tarantino quando gira Jackie Brown ha 34 anni. L'età in cui sei ancora giovane, ma in cui intravedi anche, per la prima volta concretamente e vicina, la fine dell'epoca d'oro e la prospettiva della maturità, nonché dell'invecchiamento successivo.

Ed è di questo che parla il suo terzo film. Di realismo, di malinconia e degli anni che passano, della giovinezza svanita. Senza, però, che questo comporti autocommiserazione, anzi. Si vive, semmai, la presa di coscienza, trasformandola in pretesto per il riscatto.

La riflessione sul tempo tornerà, di prepotenza, nel sopracitato C'era una volta a Hollywood, che nella sua parabola fiabesca e ucronica, di redenzione immaginaria della Storia, parla soprattutto dell'amarezza del viale del tramonto, sempre con malinconia ma ancora una volta con la rivalsa finale per chi ha trascorso una vita dietro, nascosto, controfigura di un protagonista già di per sé secondario.

Il cinema è rappresentazione della condizione umana, ma proprio per via della natura delle immagini, l'unica arte capace di fermare il tempo, scolpendolo, battendo così le leggi della fisica. L'arte della trasfigurazione, della trasposizione, dell'interpretazione. Tarantino l'ha capito da subito e messo in scena attraverso la ricercatezza dei dettagli.

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