Quest'estate credo di aver dedicato fin troppo tempo ai "cantanti" neomelodici, anche involontariamente. Ogni mattina, al mio risveglio, potevo chiaramente vedere su Teleakery (altra tv privata, di qualità maggiore rispetti a Televolla poiché prima si occupava di antiche canzoni napoletane ed ora di quelle internazionali) la pubblicità dei dischi di Raffaello e Alessio, i due più influenti cantanti locali.

Lo scorrimento dei dischi era accompagnato dai soavi lamenti del Giovedì Santo dei due tizi, messi insieme nello spazio pubblicitario evidentemente per lo stesso tipo di basette, stile '80. A dir la verità, quando sentii nominare Raffaello per la prima volta, ero curioso di ascoltare lui e di conseguenza il suo genere. Mio cugino mi accontentò, ben felice che io mi aprissi a nuovi orizzonti musicali e mi iniziassi a convertire al neomelodicismo. Se non l'avesse mai fatto, avrebbe molto giovato ai miei padiglioni auricolari. Ci infilammo nella sua confortevole Smart e lui iniziò a riprodurre alcuni pezzi. Dopo un minuto iniziavo ad avvertire terribili fitte allo stomaco, dopo due minuti, senso di nausea e vomito, dopo tre minuti il Valium sarebbe stato acqua fresca, dopo quattro minuti lo strazio terminò, per grazia di Dio. Non ne volli sentire parlare per un bel po'. Ma il ritrovo fu inevitabile.

Proprio in questi giorni mi sono fatto prestare il cd (masterizzato ovviamente, vanne a trovare uno originale di questo) per analizzare da apprendista recensore il suo ultimo album, "La nostra storia". Uno scempio di copertina, ritraente il suo bel viso da cafone, già lascia presagire le terribili torture afro-cubane che ha abilmente preparato. Con molta riluttanza e timore, lasciamo che il disco parta. Si parte miracolosamente con degli argentei accordi di chitarra (ma avrà fatto un copia incolla) che fanno cascare anche il più furbo degli ascoltatori: infatti dopo pochi secondi si ode una voce cafona che fa la passionale e parla di amore (a cioccolato, dice lui, come il sapore delle labbra della ragazza). Il piatto forte è il ritornello, che mischia abilmente parole italiane e napoletane, esplodendo enfaticamente, senza limiti fissi ("La nostra storia sembra scritta da un cartone alla tivvù, tu ragazzina innamorata, ma viziata un po' di più, con molti sogni nel cassetto, mi ripeti molto spesso, che ccu' mme è vuò realizzà…") poesia allo stato puro, per gli ignoranti, è ovvio. Per 3 minuti e 25 continua a fare similitudini imbarazzanti e frasi stereotipate. La melodia è contornata da sdolcinatissimi sax, schiavi di quest'Attila della musica. Questo orrore è la title-track.

Il finto abisso in cui si violenta il pianoforte si raggiunge con "O' vuò bbene ancora", che ovviamente parla come da copione di amori lasciati dove il povero Raffaello si fa martire consolando una povera ragazza, la quale molto probabilmente è morta sentendo il suo scadentissimo ma accorato appello spaccatimpani. Un lamento delle castagne spezzate, per fare un supereufemismo. Invece di dire "non ti preoccupare ci sono io adesso con te" dice "anche ti ha fatto male tu lo vuoi bene ancora… ". Ma, figlio mio, hai una bella tipa per le mani, carpe diem! Non fare il falso o ancora peggio il fesso. Mah… Turbati dalla sua ingenuità, passiamo alla terza traccia, "Vivo di te". Ma che fantasia di titoli! Davvero ti devo fare i complimenti, figlio di Pascoli! Vieni da me e suggeriscimi tre o quattro frasi amorose, dato che hai uno sconfinato e variegato repertorio! Lasciamo perdere il titolo e passiamo alla musica, se così la si può definire. Ritmi alla Gigi D'Alessio segnano il preludio, e indovinate quali sono le sue prime parole: vivo di te! Mi inchino a lei, re della fantasia. Ma attenzione, avverto una soave voce femminile: è un duetto, incredibile amisci! Un duetto, che schifo, chissà perchè lo fanno… Un brusco cambiamento di ritmo mi fa definitivamente sguainare la pistola dal fodero, per porre fine alle mie sofferenze. Il testo è unico. Si tratta di un dialogo tra lui e la sua fantomatica ragazza (ma chi so' piglia a chist), in cui rivela la sua forte ossessione per lei. Aiuto, aiuto, mettete il mio dito sul tasto FWD! Quarto brano, "Tirati su quei pantaloni" (Sennò mi accusano di stupro) che vede l'uso e lo spreco della chitarra elettrica, molto accorata e romantica. Parla d'amore, ovvio. Per favore leggete il ritornello: "Tirati su quei pantaloni, ma che stupida che sei, incontrollabili i tuoi modi, sembri il diavolo ma io, cà nun m spogli pe ffà ammore… "… Fermiamo la musica, per favore, mi sorge spontanea una domanda, anzi due:

1) Sei gay? Se sì, ti compatisco, altrimenti…

2) Non ho capito, tu fai l'amore vestito??? Allora sei un mito, un grande, un uomo soprannaturale!

Chiudiamo la parentesi, altrimenti mi viene una crisi isterica. Lo Zanatos del buon Sigmund Freud (istinto inconscio di aggressività) potrebbe avere la meglio sul mio ego e spingermi a commettere genocidi di neomelodici. Allora, melodia cotta e digeribile come la peperonata a mezzanotte. Tonalità di voce che umilia la cafonaggine assoluta. Incredibile uso di chitarre elettriche per fabbricare uno scheletrico intermezzo. No, dai non voto 0, sarebbe troppo! Sopraffatto dal riso, il quale ha messo da parte il folle istinto omicida, vado avanti nella mia crociata contro Raffaello. Cosa sento, un sax e uno squillo di cellulare (prolessi e citazione a Moggi?), seguito da singhiozzi femminili, dovuti plausibilmente alla mostruosità del disco. Questa è la genesi di "Te vengo a piglià" (Ti vengo a prendere), l'unico pezzo che forse si merita un voto al di sopra dello 0: un bel 4 non te lo leva nessuno. Sono buono, dai: si vede la tua buona volontà e la tua voglia di commuovere, ma devi affinare bene la tecnica. Oh, cristallini suoni di chitarra acustica danno il respiro a "Tuo padre non vuole", in cui il nostro uomo vuole chiarire la sua storia d'amore e affermare il suo voler bene alla ragazza. Troppo banale, troppo farcito, troppo accorato. E come si sa, il troppo stroppia. Una perla di saggezza è però la frase del ritornello "Chi overo è nnammurato nun s fà cumannà", una fedele trasposizione del proverbio "Al cuore non si comanda".

Lasciamo stare queste atroci melensità e proseguiamo con "Una storia per metà", che inizia in coro, probabilmente composto di disadattati e malati cronici. Raffy esala ancora parolastre d'amore, vuole fare l'amore con la sua ragazza e poi morire(volesse il cielo!). Un testamento spirituale, come "Motorbreath" dei Metallica. No, per favore, non mettiamo capolavori in questa recensione. Rovinerebbe la perfezione assoluta del rozzo. Ritmi che commuovono le belle guaglione di Forcella le quali non hanno niente da fare se non dare un profondo e sincero ascolto a questa porcheria. Mi dispiace ragazze, ma avete perso il vostro tempo. In "Nun pò continua" non c'è altro che il ribadimento degli imbarazzanti e flebili concetti amorosi e adulteri. D'altra parte era difficile aspettarsi una svolta. Il ritornello ha un ritmo di batteria alla Good Charlotte, il quale non fa altro che ridicolizzare il tutto. Un Raffaello rock? Sì, fra circa 500 anni riusciremo ad ottenerlo. E siamo ottimisti. Questa traccia è solo una vilissima imitazione del rock, perlopiù di quello commerciale. Perlopiù, come se non bastasse, Raff riempie la sua amante (è un playboy il tipetto, abbiate massimo rispetto) di "stupida" e "scema". Davvero commovente. Per favore, passatemi il cordless. Chiamo il telefono rosa. Non ne posso più di queste molestie (sessuali e non). Sbattetelo in carcere!

Suonatina alla D'Alessio, è l'inizio di "Vancelle a dicere" (Vaglielo a dire), in cui si narra una storia ostacolata dalle volontà dei genitori. Si sono davvero raggiunte le più profonde tematiche nella storia della musica. Altro che temi sull'uomo di "The Dark Side Of The Moon" o sull'idozia americana di "American Idiot"! Qui si è superata ogni nobiltà. Giù il cappello, gente. Applausi, prego. Raffaello vorrebbe fare il migliore Gigi D'Alessio possibile, ma il risultato lascia alquanto a desiderare: la musica va abbastanza benino, ma i testi sono imbarazzanti (neanche scritti da lui se non sbaglio), le tonalità sono commercialissime e affette da cafonaggine acuta, ripetitive. Un pasticcio carino esteriormente, ma appena si scava un po' trasuda la banalità assoluta. Sonorità commoventi e sentite danno la spinta a "Over l'è perdut", in cui il napoletano e l'italiano sono un tutt'uno. La tentazione di spegnere il lettore cd è fortissima: si è raggiunto davvero il colmo. Basta, basta con l'amore, rischio di farmi castrare! Sto andando al Frullone (noto manicomio napoletano)! Una camicia di forza sarebbe una giacchettella, mi libererei subito a causa della rabbia e gli istinti omicidi che suscita questo cd. Ultima (fortunatamente) traccia è "Napule", che stranamente è apprezzabile: di certo non riesce a emulare la splendida panoramica cittadina di Pino Daniele con "Napul'è", ma comunque fa una bella descrizione della mia città. Si merita un 7 all'impegno. Riesce a commuovere, dialogando con la città come se fosse una persona, esponendo i suoi problemi ma in contemporanea esaltà le sue virtù: "Napule, tu sì grande, sì Napule!" (Napoli, tu sei grande, sei Napoli!). Un buon canto del cigno. Se fossero stati tutti così i brani, probabilmente avrei messo 4 stelle. Purtroppo l'1 va di lusso, lo metto per l'ultima traccia.

Senza di questa del disco si possono fare molti utilizzi: sottobicchiere, frisbee, disco per flex, lampadario (si attaccano i fili alle sue estremità e si infila nel buco la lampadina), fermacarte, strumento da arrotino, cerchione da passeggino (questa è fantastica), piattino (ma perchè non ci ho pensato prima?), eccetera eccetera. La mia battaglia contro Raffaello e i Neomelodici termina qui. Siamo tutti stremati, ma credo di avere avuto la vittoria in pugno. Amico Mopaga, rinsaviscimi con le tue flebo di battute!

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