Siamo nel bel mezzo degli anni '70, da una parte ci sono i gruppi Hard Rock e Prog che tentano di rimanere sulla cresta dell'onda, dall'altra c'è l'avvento del primo Heavy Metal e del Punk. Nel mezzo c'è un gruppo Epic-Rock, i Rainbow, fondati dal chitarrista rock per eccellenza: Ritchie Blackmore.

Dopo aver esordito (e che esordio!) con il primo album "Ritchie Blackmore's Rainbow" e con il maestoso "Rising" (1976), i Rainbow partono per le tournee di rito e, nel settemebre del 1976, approdano in Germania, dove registreranno un live che (senza azzardare) si può benissimo comparare con "Made In Japan" dei Deep Purple, a dimostrazione che, dove c'è Blackmore, l'ottimo risultato è garantito. In Germania i Rainbow registrano tre date: Colonia, Dusseldorf e Norimberga. Proprio a Dusseldorf il gruppo darà il meglio di se, sfornando una prestazione da incorniciare.

Meglio anche ricordare la line up (visto i tanto cambiamenti che ci saranno nel corso della storia della band). I cinque sono: Ritchi Blackmore alla chitarra elettrica, Ronnie James Dio cantante, Tony Carey alle tastiere, Jimmy Bain al basso elettrico e Cozy Powell alla batteria.

Dopo la consueta introduzione sulle note di "Over The Rainbow" de "Il Mago di Oz", si parte con il botto: "Kill The King"! Riff tagliente e velocità emozionante, condito da una perfetta base ritmica con doppia cassa di Cozy Powell, un assolo di chitarra semplicemente rabbioso. Da questa canzone si capisce che i Rainbow non sono una costola dei Deep Purple, ma fanno sul serio. Ma è dei Deep Purple, però, la seconda canzone: "Mistreated", Ronnie James Dio non teme il confronto con Coverdale e tira fuori una prestazione sublime, carica di emotività e passione, aggressiva più che mai. Inutile aggiungere che Blackmore ci delizia con un assolo perfetto, accarezzando le corde della sua Fender crea un'atmosfera sognante, grazie anche all'apporto di Tony Carey alle tastiere.

 Si torna nel Regno Unito del sedicesimo secolo grazie a "Sixteenth Century Greensleves". Canzone che prende spunto da un testo del re Enrico VIII, viene introdotta da una bellissima aria medievale di Blackmore (che mostra la sua passione per la musica madrigale). Il resto è pura potenza, con un riff esplosivo e due assoli veloci: da applausi. Si abbassa di nuovo il ritmo, ma ne vale la pena, perchè e tempo di afferrare l'arcobaleno: "Catch The Rainbow". Ballad assolutamente non banale, che mostra il lato gentile di Blackmore, sempre ottimamente supportato da Carey. Canzone che sembra essere scritta apposta per la voce di Dio, che non delude i fan, eseguendola con una nota di malinconia e passione allo stesso tempo, vale la pena ricordare la poesia nel finale, cantata da Dio: "Catch the Rainbow and ride the Sky. Make it shine, for you and all", bellissima.

 Ora è tempo di Hard Rock e i Rainbow ci deliziano con la storia di un uomo che vive su una montagna argentata, ovvero "The Man On The Silver Mountain", eseguita a velocità maggiore rispetto la versione in studio, viene anche dilatata con un intermezzo blues ed un perfetto medley di Dio.

Ma siccome i Rainbow sono un gruppo epic, bisogna eseguire la canzone epic per eccellenza: "Stargazer". Ed è anche tempo per Tony Carey di prendere le luci della ribalta e ci introduce la canzone a suon di tastiere e moog. Il testo narra la storia di uno stregone che, per salvare il suo popolo, gli impone di costruire una altissima torre di pietra, ma lo stregone muore e lascia il popolo nello sconforto. Nel mezzo, Blackmore esegue forse l'assolo più bello di tutta la sua carriera (al pari forse solo con quello di "Child In Time"), che dura oltre quattro minuti, da ascoltare soltanto in silenzio.

Putroppo bisogna anche chiudere lo show, ma i Rainbow non ci lasciano con l'amaro in bocca e ci regalano "Still I'm Sad" (la tanto agognata cover degli Yardbirds voluta da Blackmore). Questa canzone è un momento che i Rainbow fanno a loro stessi, dove vengono esaltate la capacità di tutti, che si dividono la canzone: prima Blackmore, poi tocca a Carey esaltarsi ed infine un assolo di batteria potente e rabbbioso di Cozy Powell, che mostra anche interesse per la musica classica, accompagnando con la sia batteria l'ouverture "1812" di Tchaikovsky. Si chiude con un finale in crescendo e Dio non può far mancare il suo apporto, con un'esecuzione sempre molto sentita.

Si chiude il sipario, non resta che applaudire questi fantastici musicisti, perdonate l'eventuale prolissità, ma era un dovere recensire per bene un gruppo come questo.

Un disco straordinario, il "Made In Germany" dei Rainbow

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