A quanto pare l’avventura dei Fates Warning, almeno quella discografica, è giunta al termine. Diversi sono stati gli indizi a tal sostegno, prima un podcast (antecedente l’uscita dell’ultimo album della band) in cui si metteva già in discussione il futuro della band, poi l’ultima traccia dell’ultimo album che reca il titolo “The Last Song”, poi le dichiarazioni in merito di Jeff Wagner (autore della biografia del gruppo), passando per i profili social della band che improvvisamente diventano un album dei ricordi a cielo aperto… fino alla dichiarazione ufficiale della band stessa in cui si asserisce l’effettiva intenzione di non pubblicare nuovo materiale, una dichiarazione che non è altro che una conferma di ciò che già era nell’aria. Diciamo che dopo 40 anni di carriera la fine si può anche accettare, alla fine sono stati la band che ha spinto il metal verso una complessità inedita e verso una destinazione progressive; tuttavia un po’ di dispiacere c’è, perché “Long Day Good Night” era un salto in avanti verso una profondità mai raggiunta prima, forse poteva aprire un nuovo discorso. Adesso si volta pagina, i vari membri della band li vedremo pubblicare nuovo materiale solo in altri progetti, collettivi o solisti.
Ad esempio il vocalist Ray Alder, che già aveva un album solista all’attivo pubblicato ormai quattro anni addietro e che ora esce con il secondo lavoro. Si intitola semplicemente “II”, un semplice numero romano rappresentato in una copertina semplice ma abbastanza ad effetto, uno sfondo nero con due barre oblique rosse lievemente scarabocchiate, un concreto esempio di come si possa fare una copertina semplice ma bella, non è il quadro pittoresco astratto del primo album ma è niente male.
Da un punto di vista musicale però le cose da rivedere sono diverse. Innanzitutto l’album è più metal del precedente e non so se la scelta è proprio azzeccata, il primo album non era un capolavoro ma mostrava il suo massimo rendimento nelle sezioni più melodiche, peccando invece proprio quando i riff tiravano di più. Effettivamente come album metal non è esattamente il massimo, i riff non appaiono proprio brillanti ed accattivanti, sembra un po’ metal del discount, è buono ma non spacca, si sente che non c’è Jim Matheos, Mike Abdow vorrebbe cercare di imitarlo ma non ci riesce; aumentare la quantità di metal senza aumentarne la qualità può produrre un effetto contrario, può abbassare il livello complessivo del disco, è una questione matematica, di proporzioni. Ciò non impedisce a “My Oblivion” e “Hands of Time” di essere brani piuttosto validi, il primo perché i riff più o meno duri sono integrati con tocchi di chitarra melodica, vi si raggiunge un buon compromesso fra potenza e melodia, il secondo spicca invece per i suoi passaggi tecnici nella parte centrale che lo avvicinano al vero prog-metal. Un brano che merita davvero è “Waiting for Some Sun”, il brano che più si differenzia dal resto, vi si tenta un’incursione nel djent inusuale in tutto l’universo Fates Warning, riff simili a piccole frustate combinate con schizzi elettronici anch’essi non troppo familiari.
Ma come già accennato è nelle cose più delicate che troviamo le idee migliori, le parti più curate, se il primo album mi era piaciuto soprattutto per il suo lato melodico anche questo rende meglio quando gli animi si placano. Nella traccia d’apertura “This Hollow Shell” le chitarre vengono appena graffiate ed i riff sono ipnotici, ma è in “Keep Wandering” che questo lato viene approfondito a dovere, i riff sono quasi cullanti, delle carezze. Sono dell’idea che se si volesse dare un senso al progetto solista di Alder questo potrebbe trovarlo proprio nel melodico, anche a costo di mettere il metal da parte. Non solo da un punto di vista strumentale, ma anche sotto l’aspetto vocale, ricordiamo che si tratta dell’avventura solista di un vocalist non strumentista. Se così si facesse forse si perderebbe quella rabbia che viene mostrata nelle parti più aggressive ma si potrebbero valorizzare le abilità melodrammatiche di Alder, e lui ne ha eccome.
Nel complesso abbiamo un disco più che sufficiente, che potremmo valutare all’incirca con un 6 e ½, il classico dischetto che ti accompagna piacevolmente nel periodo in cui esce ma che non è destinato ad essere scolpito nella memoria. Si sente che non sono i Fates Warning, sembrano semmai dei Fates Warning ammorbiditi ed è la sensazione che si avverte anche negli altri progetti venuti alla luce recentemente. Mi viene in mente A-Z, dove oltre ad Alder c’è Mark Zonder, il primo omonimo album è abbastanza buono, ha buone idee ma anch’esso non spicca, almeno lì c’è uno Zonder stratosferico; ci sono anche i Kings of Mercia di Matheos ma mi hanno stancato dopo pochissimi ascolti, mi è sembrato un hard rock metallico acquoso e un tantino innocuo. Sembra che nessuno dei progetti citati possa raccogliere davvero l’eredità del marchio Fates Warning… ah forse uno sì, Arch/Matheos, quello sì che era bello tagliente e tecnico, perfetto crocevia fra vecchi e ultimi Fates, se Matheos se ne accorgesse sarebbe una bella idea.
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