L'ASSOLUTO si esprime attraverso silenzi puri o frastuoni apocalittici. Quello che è doveroso ricordare è la natura della sua durata: essa di solito è molto breve, quasi inafferrabile. Che so, un lampo, una scarica di adrenalina, un orgasmo, una felicità improvvisa e immotivata, e quant'altro si possa citare. Fissata la durata, è possibile immaginare una congiunzione logica tra eventi assoluti differenti (lo so, sembra un paradosso), per creare, quasi in maniera matematica, un unicum più facilmente comprensibile. In questa maniera avremo ipotizzato un modo razionale per esprimere l'estasi caotica. Per capirci, l'esatto opposto dei quadri di Pollock. Questo metodo scientifico applicato alla musica lo tenne ben presente Karlheinz Stockhausen, che attraverso la programmazione dei computer e lo studio della onde acustiche creò una commistione di scienza e di intuizione sonora, la quale ha spinto più volte i suoi ascoltatori a rivolgere la faccia e il cuore verso l'ignoto spazio profondo, verso l'infinito, verso la mente saltellante di scariche nervose. Se solo si potesse imbottigliare in flaconi questa "luccicanza", ancestrale e moderna al tempo stesso, state pur certi che il medico la prescriverebbe in dosi giornaliere. Almeno è quello che penso.
Stockhausen, un po' come Newton, Tesla e i fratelli Marx, ha travalicato il suo tempo, gettando un faro su zone inesplorate. Di questo ero ben cosciente quando entrai in sala, qualche settimana fa, per vedere il suo "concerto". Ma ero anche po' timoroso, qui posso e devo confessarlo. Insomma, trattavasi di filosofo androide fatto di puro spirito o cos'altro? Mi interrogai fino all'ultimo momento, mettendo infine il primo passo nella sala. Lui era già lì, ad aspettare che tutti si sedessero. Non era sul palco, non lo fa mai. Era seduto in mezzo ai due gruppi di poltrone, al centro della grande sala, davanti al suo mixer, fisicamente presente, immerso in un abito bianco nuvola. Sulla sua faccia un sorriso appena accennato, un po' sornione; lo sguardo attento ma rilassato. Le persone gli giravano intorno, in cerca dei posti. Loro delle navi intorno ad un faro, lui umano tra gli umani. Qualcuno di tanto in tanto gettava un'occhiata veloce al maestro, almeno sapevano di doverlo considerare tale.
Una luce proiettava un cerchio bianco su una tenda nera, posta sul palco. Mi sembrò una piccola luna. Raggiunsi il mio posto nella settima fila circa, alle sue spalle, quindi mi sedetti e lo cercai con lo sguardo. C'era una strana aura nell'aria: sentivo di avere a pochi passi da me una persona normale, eppure incredibilmente "potente". Una persona che la mattina legge il giornale sul cesso, ma poco dopo fluttua su onde galattiche. Una strana commistione di sacro e profano, tipica di tanti geni e artisti dello scorso secolo. Chi ci capisce è bravo. Rimasi a guardarlo, in attesa, col brusio delle persone in sottofondo. In quel momento mi sentii particolarmente ispirato. Ad un tratto il maestro si alzò dalla sedia e lentamente raggiunse il palco. Applausi. Silenzio. Quindi qualche parola in italiano, con voce chiara e soffice, a tratti un po' insicura: "Vi ringrazio di essere qui... Oggi eseguirò due opere. La prima è 'Il saluto del Mercoledì', tratto da 'Light', opera del 1996; è la prima volta che viene eseguita in Italia. Il brano durerà minuti... (li disse con la precisione dei secondi, con tipico fare tedesco). Dopo l'intervallo, di circa quindici minuti, verrà eseguita 'Cosmic Pulses' da 'Klang', del 2006, commissionata dalla fondazione musica per Roma, in anteprima mondiale. Il brano durerà minuti... Sfrutterò otto canali, e le onde sonore si sposteranno nella sala; esse non si muoveranno unidirezionalmente, ma tutto intorno... Il mio consiglio è di rilassarsi, e di muovere la testa lentamente, per sentire gli spostamenti del suono da diverse posizioni. Tenete gli occhi chiusi, per VEDERE meglio la musica. Create dei pensieri. Qui sul palco è proiettata questa piccola luna, come ho sempre usato fare nelle mie esibizioni dal vivo... Grazie ancora a voi tutti. Non resta che auguravi buon ascolto, e buon viaggio nello spazio infinito...". Silenzio di nuovo. Applausi. Scese dal palco per raggiungere la sua sedia in mezzo alla sala. Io sorrisi. Quel discorso era stato tanto forte e affascinante quanto teneramente umano. In qull'istante, senza averlo mai visto dal vivo né particolarmente approfondito musicalmente, capii chi è Karlheinz Stockhausen.
IL "CONCERTO"
Questa è la parte più difficile. Credo anzi sia impossibile, oltre che inutile, tentare di descrivere con la minuzia dei particolari cosa realmente avvenne in quelle due ore. E' importante di certo sottolineare la concezione del tempo elaborata dall'artista nel corso degli anni: l'immobilità contemplativa vissuta come azione, in linea con le filosofie orientali che tanto lo attrassero. Anche qui l'elettronica fa la sua parte, fissando lo studio dei tempi, dei registri, dei timbri, delle forme fluide ed armoniche che cercano di estendersi nello spazio. Sul librettino che ci diedero all'ingresso c'erano grappoli di grafici, formule matematiche, algoritmi, forme geometriche. Ma l'esibizione fu talmente magnetica e fuori dal tempo - e così incredibilmente inafferrabile - che forse l'unica via per raccontarla è quella delle emozioni e delle visioni... visioni... ioni... oni... ni... i... i...
...Buio. Buio. Buio. Ancestrale. Buio. White. Flash. CLLLAANNGGG! Bagliore. Buio. Bagliore. Buio. Buio. Lampo. Giro. Bianco. Flash. Rumore. Szoom. Fluusshh. Bagliore. Buio. Clakhsuskl. Flush!!...Blu. Polvere. Flash. Zoom. Giro. Doppio Giro. Triplo giro. Crollo - !!!!- Op. Silencio. POOMMM. Nero..... Ah-ah!!!!...Flash... Flasssshhhhhhhhhh!!....... Starssszzssssssss......... !!... !... !.......... !......... Y!!!!!....... O....
Non sapevo bene cosa stesse succedendo, accadeva e basta. Guardavo incuriosito tutt'intorno, cercando un punto d'appoggio. Fallii completamente. Allora decisi di cadere, non importava. Via! Ecco un buco, ecco la porta... Giù!! Giù, su, intorno, a destra, verso est, sopra le nuvole, un tuffo nella via lattea, una giravolta nel tempo, e di nuovo qui, e poi ancora di là, qui, là! Poi lentamente trovai dei punti di appoggio, e così la situazione migliorò. Ebbene sì, trattasi di Dispersione Controllata, my friends! Il movimento era solamente udibile, non visibile. Con gli occhi aperti la scena era buia, immobile, statica. Solo la piccola luna se ne stava fissa sul palco, e la figura di Stockhausen era di spalle rispetto a me. Il contorno del corpo era rischiarato dalle luci sottili del mixer e dei computer. Ora si vedeva chiaramente l'aura che prima dell'esecuzione avevo intuito solo inconsciamente. Le persone erano ferme tutt'intorno. Chiusi gli occhi e seguii le istruzioni dateci dal dottore-poeta tedesco. Mossi lentamente la testa ed aprii gli altri occhi, gli altri, quelli che non necessitano di palpebre e pupille. Pian piano trovai la giusta scia, riuscivo a seguire il discorso sonoro, era fatta. A tratti lo masticavo con forza come farebbe un leone con la preda, a tratti lo centellinavo come farebbe un uomo delle stelle bevendo un vino profumato e brillante. Poi ad un certo punto, buio e silenzio. Forse ero in dormiveglia. Mi sembrò di vedere qualcosa. Ero io che guardavo le stelle tanti anni fa, da una terrazza. No, no. Eccolo, era il cavalluccio marino che vidi nuotando in Sardegna a Cala Gonone, avrò avuto otto anni. L'acqua blu tutt'intorno. No, non era più acqua, era quella scena dell' "Ignoto Spazio profondo" di Herzog. Forse era la musica di un anno fa in Spagna. No, era quella partita a calcio con la pioggia. Era la brezza fresca della sera nel porto a luglio. Era una chiacchierata alcolica al pub. O la festa in quella casa al mare in quarto liceo vicino Lavinio. Oppure era lei... Sempre più sfuocato. No... Ero su una poltrona, ero lì. Ero tornato in sala. La situazione ora era Ollrait. Qualche minuto ancora e la prima parte terminò, sfumando nell'ombra. Applausi scroscianti. Dalle poltrone dietro di me un commento tra due persone: "Fantastico! Lo sai, mi sa che ad un certo punto mi sono quasi addormentato... No, aspetta, come una specie di dormiveglia. Che strano...".
Le persone si radunarono intorno al mixer, in cerca di autografi. Io andai lì solo per vedere più da vicino. Poi di nuovo a sedere.
La seconda parte risultò più movimentata, con i suoni e le onde che vibravano e guizzavano ovunque. Tenni gli occhi aperti questa volta. La luna era ferma, i rimbalzi sonori aumentavano, i loops si aggiungevano gli uni agli altri. Un curioso mix di movimento e di statica. Ad un certo punto l'occhio, ipnotizzato, comincia a vedere la velocità, l'avanzamento colorato verso l'ignoto. Avete presente la scena finale di "2001-Odissea nello spazio"? Pupilla apertissima. Colori. Verde. Blu. Rossa. La palpebra sbatte. Verde. Blu. Rossa. La figura seduta al mixer sembrava quella di spalle alla fine del film, nella casa settecentesca. Io che mi dicevo: "Ora si gira, ora si gira verso di me..." Ma non lo fece. La musica era finita, intorno c'erano solo la sala e le persone; in alto, lontano, ancora la luna. Applausi veri. Meritati. Il maestro lentamente, come un omino operoso dopo un buon lavoro, raggiunse il palco. Ricevette dei fiori, e fece un ultimo inchino pieno di modestia. Come a dire: "In fondo ho fatto solo il mio dovere, niente di eccezionale... Comunque vi ringrazio di cuore...".
La calca di persone si era fatta impressionante intorno al mixer: ragazzi, adulti, bambini, anziani. Un signore molto vecchio gli disse che era stato presente ad una sua vecchia esibizioni tanti anni fa; Stockhausen ascoltava umile e molto interessato, dall'alto dei suoi 79 anni. Sorrisi, autografi, foto, chiacchiere varie. Io rimasi quasi per ultimo. Mi avvicinai, gli strinsi la mano cercando di sentirla davvero, e chiesi un autografo. Infine lo guardai in faccia e gli dissi: "La aspettiamo alla prossima occasione." Lui mi rispose semplicemente: "Certamente!". I suoi occhietti azzurri e vispi erano seri e calmi, non pareva esserci traccia di nuvole nere all'orizzonte.
Camminai verso il corridoio dell'uscita all'indietro, continuando a guardarlo, facendo un'ultima polaroid per la mia mente. Perché in fondo quel momento poteva essere l'ultima possibilità di vedere uno dei grandi viaggiatori del nostro tempo. Ma pensandoci bene, perché essere così pessimisti? Dunque non avevo imparato nulla dal concerto? Suvvia...D'altronde tutto è relativo, incluso il tempo; mi sembra lo disse un certo Alberto nonsochè.
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