La prima volta in vita mia che ho sentito parlare di Seasick Steve è stato in una recensione del desaparecido  NettaDebaser. Mi ero chiesto cosa c'entrasse un vecchio bianco quasi settantenne  con quei giovinastri indiavolati dei Left Lane Cruiser, capaci di mettere a ferro e fuoco qualsiasi negozio di dischi dell'Indiana con la loro esplosiva miscela a rapida combustione.

 Un vecchio hobo, che ha passato la vita a farsi arrestare per vagabondaggio dai poliziotti di mezza America ed Europa, capace di dare lezioni di punkblues a dei ragazzi cresciuti con la foto di Iggy sotto il cuscino!?!  Ma chissà se Freddie e Sausage Paw conoscessero per davvero questo tardivo esordio del 2006, che vede Steve Maldimare fare tutto da solo. Con un piccolo amplificatorino e una chitarra cui manca la metà delle corde come alla sua bocca mancano i denti, il vecchio riesce a sputare più blues che scataracchi, pestando come un dannato lo scarpone sulla cassa di cartone che gli fornisce la ritmica.

 Se lo incontri all'angolo del marciapiede a suonare "Cut My Wings", ti guardi intorno per cercare di capire dove sia il resto dei musicisti. Un po' come dei novelli Samuel Charters che, nel 1958 alle Bahamas rapito dalla musica che ascoltava, si sporse oltre il muro di un cantiere per vedere il gruppo... e ci trovò il solo Joseph Spence che suonava la chitarra durante la pausa pranzo.  Prendete ad esempio "Fallen on a Rock", che rumbla un tranquillo boogie fingerpickato e poi improvvisamente si incazza nelle sciabolate di slide per un vero attentato all'integrità delle vostre casse stereo manco aveste messo su un pezzo della coppia  Thurston Moore/Lee Ranaldo.

Ascoltare questo disco è come sedersi a quell'angolo di strada lasciando perdere quel cazzo di odioso dovere  per cui  siamo usciti da casa. Steve introduce ogni pezzo scherzando e raccontando aneddoti, ma ti rendi conto che le sue storie di vita sono ossessivamente  legate ai rapporti non proprio idilliaci con i tutori dell'ordine e a quelli amorevoli con i cani che l'hanno accompagnato on the road: "Dog house Boogie" è un ipnotico mantra condito da ululati che coprono l'aspro giro slide della chitarra. Le tre corde sono martoriate, come a dire che non c'è gentilezza  nel mondo della strada, durante la preghiera "Save Me" oppure ridotte a suonare pochi accordi ossessivi in "Things go up"e "Cast Po' Man". Addirittura trasforma magicamente una ballata di blues tribale come "Hobo Low" in un cupo peana intonato a Manitou da uno sciamano comanche in punto di morte.

 Quando la sua musica ricorre a stilemi più normali, il vecchio hobo riesce ad intrattenerci con allegria ("My Donny"), facendoci dondolare la testa e battere il piede a ritmo frenetico come ci hanno insegnato a scuola di blues ed in fondo per questo è nato il blues. Per dimenticare una giornata di fatica sotto il sole dei campi di cotone del Mississippi, stordendosi non con l'alcool che costa troppo ma con la musica.

Tra i miei pochi pregi c'è quello di non essere razzista e perciò Seasick Steve, anche se ha il difetto di essere un vecchio punk bianco, non sfigura affatto con questo disco ferocemente incendiario  riposto sullo scaffale accanto a veri piromani  del blues come T-Model Ford oppure Junior Kimbrough.

Beh... almeno non sfigura troppo, e questo è un grosso complimento. Ma non vi aspettate che il sottoscritto gli dia un voto, cosa volete che conti un merdoso numero che sa di meritocrazia scolastica  per uno che ha passato la sua vita a fuggire dalle catalogazioni? Posso solo lasciargli il mio contributo nella custodia della chitarra e ringraziarlo prima di rendermi conto che avevo un dannato obbligo da rispettare verso la società costituita. Io non sono libero come un hobo.

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