Premessa: Diego Armando Maradona è il più grande calciatore di tutti i tempi. Qualcuno dice che sapeva usare solo un piede. Il sinistro. Ma, come Django Reinhardt, "la chitarra dalla voce umana" (Jean Cocteau), che suonava la chitarra nonostante il grave handicap della perdita dell'uso di anulare e mignolo della mano sinistra, è stato un gigante "la cui reputazione ha varcato i tempi e le frontiere, imponendosi alle generazioni successive al di là del jazz, la musica che lo rese popolare" (Alain Antonietto, François Billard - "Django - Il gigante del jazz tzigano"). Allo stesso modo, Maradona ha avuto bisogno del solo piede sinistro per essere il più grande di tutti. E vincere. Perché Maradona, al di là delle considerazioni di Arrigo Sacchi da Fusignano, l'allenatore del Milan e della Nazionale di calcio italiana tristemente noto per aver dichiarato che "Angelo Colombo - centrocampista del Milan alla fine degli anni ottanta, ndr - ha vinto più di Maradona", ha vinto un Mondiale di calcio da solo. E avrebbe vinto ancora. Ma la prima volta sulla sua strada ha incontrato il ginecologo messicano Edgardo Enrique Codesal Méndez. La seconda, l'ultima, lo hanno fatto fuori Havelange e Blatter, che speravano di avere negli Stati Uniti un giocatore finito e senza voglia di giocare, e si erano invece ritrovati davanti un campione e una Nazionale, quella argentina, decisa ad andare fino in fondo nella competizione mondiale.

Ma Maradona non è "solo" il più grande calciatore di tutti i tempi. Maradona è stato un artista. Un artista del pallone, certo. Comunque un artista. Con il suo piede sinistro ha segnato traiettorie degne del Brunelleschi. Le sue giocate hanno emozionato milioni di tifosi in tutto il mondo e le sue vicende, le sue dichiarazioni mai banali, i suoi comportamenti sempre sopra le righe, la sua vita fatta di eccessi e di esagerazioni hanno fatto discutere, fanno discutere come mai nessun personaggio del mondo dello sport ha fatto prima e dopo di lui. Maradona è un tango suonato dai Rolling Stones.

Fino a sabato 2 gennaio 2010, quando alla sera è andato in onda su una pericolosa rete televisiva bolscevica e filocomunista, me ne ero tenuto alla larga. "Maradona - La mano de Dios" è un film del 2007 di Marco Risi, già regista di "Fortapàsc" e nel lontano 1991 del buono "Il muro di gomma". Uno che comunque ha trascorsi cinematografici in larga parte dimenticabili e deprecabili. Il film ripercorre le vicende dell'uomo e del calciatore Maradona, di cui vuole essere biografia e omaggio, dalla infanzia a Villa Fiorito (Buenos Aires) alla metà degli ultimi anni zero. Ci sono Claudia Villafane e Guillermo Coppola, Corrado Ferlaino e Alfio Basile. Dalma e Giannina. Sono raccontati gli anni di Barcellona. Napoli. Il Mondiale messicano, dove Diego vinse e divenne "Il figlio del vento" (Salvatore Biazzo), e quello americano del 1994, dove risultò positivo all'antidoping e fu squalificato per la seconda volta. La dipendenza dalla cocaina.
Tuttavia. Non c'è Fidel Castro. Manca Italia '90, la semifinale Italia-Argentina giocata in una Napoli spaccata a metà, i fischi degli "hijos de puta" dell'Olimpico. Non ci sono gli scudetti e le coppe vinte con la maglia del Napoli. Che non sono poca roba.
"Maradona - La mano de Dios" è un film drammatico e zeppo di retorica fino al midollo. Non solo. Come da qualche anno è tradizione nel cinema italiano, è un film scritto male e diretto peggio. Marco Leonardi è Maradona. Ma sembra Lavezzi. Pietro Taricone fa il malamente, Giovanni Mauriello della Nuova Compagnia di Canto Popolare è l'Ingegnere Corrado Ferlaino. Quello che terrorizzava Ezio Vendrame con le sue strette di mano ("... la mano destra di Ferlaino. Una specie di cazzo moscio."), per intenderci. Maradona è uno scugnizzo di Villa Fiorito facilotto e troppo cresciuto. Diventato ricco e famoso conosce la bella vita. Le donne e le automobili veloci. La droga. Diventa dipendente dalla cocaina. Perde il controllo di se stesso e la sua vita è allo sbando quando alla fine, obeso e malato, si ritrova su un letto di ospedale a piangere e chiedere, ancora una volta, aiuto e conforto alla moglie Claudia. Quello di Marco Risi è un Diego Armando Maradona in ginocchio. Divorato dalla droga e dai suoi fantasmi.
Marco Risi non ha capito niente di Maradona, che invece è uomo tanto ribelle quanto orgoglioso. E' andato da solo contro tutto e tutti. Contro i poteri forti del mondo del calcio, e del mondo della politica. Anche contro se stesso. Ha sempre detto quello che pensa mettendoci la faccia, e ne ha pagato le conseguenze. Ma ogni volta si è rialzato in piedi e si è rimesso in discussione. Marco Risi è il figlio del grande Dino, il regista de "Il sorpasso", ma Diego non è Jean-Louis Trintignant che guida la sua automobile a più di cento chilometri orari e finisce fuori strada. Il vero Diego Armando Maradona è caduto più di una volta e forse non verrà mai a capo dei suoi problemi, ma non ha mai abbassato la testa. E' un campione. Vuole vincere, e anche ai prossimi Mondiali di calcio in Sudafrica sarà in prima linea. Seduto in panchina cercherà di dare alla prestigiosa Nazionale di calcio argentina il suo terzo titolo Mondiale. E di prendersi qualche rivincita.

P.S. Va bene. Il cinema italiano è morto. Ma con certe cose non si scherza. A questo punto meglio continuare a girare film sulla crisi dei trent'anni.

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