Da piccolo leggevo e guardavo le figure di riviste di chitarra da riccardoni e su una di queste, un giorno, lessi più o meno che l'Ace Frehley post-reunion dei Kiss era uno che [testuale] balbettava musica perché mangiato dalle droghe. Io dei Kiss so quasi niente, ma Rivers Cuomo - che, scopro oggi, si chiama così anche in onore di Gianni Rivera e Gigi Riva - e Mark Kozelek sono stati entrambi ragazzini negli ottanta, ed è normale che ne abbiano risentito: ritrovai così Ace Frehley appeso alla parete del garage di Cuomo, appunto In The Garage, quando avevo già capito che le chitarre sì, mi piacevano, ma che magari i Queensrÿche non facevano esattamente per me. Arrivò poi questo EP dei Red House Painters a confermare che meglio uno come The Spaceman Frehley, drogato ma capace di canzoni come Shock Me, che un sobrio e ipertecnico cocainomane di quelli che ora fanno le clinic e hanno le mogli milf. L'esordio degli Weezer - con In The Garage - e questo EP sono usciti nel novantaquattro a tre mesi di distanza l'uno dall'altro.

Vent'anni dopo, l'anno di Benji e delle conseguenti luci della ribalta per Mark Kozelek. Completamente arbitrario che il "successo" di pubblico sia arrivato ora per lui inacidito, un po' rincoglionito e più che mai inutilmente prolisso. Va detto però che mentre noi pubblico tristemente comune scriviamo recensioni su internet, status sui social, commentiamo qualcosa, o in qualunque modo ci esprimiamo, Kozelek ha sempre optato per buttare in musica ogni sua urgenza comunicativa ed espressiva - estremista e quasi ascetico fino all'assurdo, in questo - accompagnando col suo canto strascicato, col suo timbro unico, cangiante ma sempre affascinante. Perciò è giusto che gli si perdonino i bassi (tra tanti alti), i primi pompini nelle canzoni, le sue parole sull'insignificante autobiografico, e che finalmente gli si dia riconoscimento: perché mentre noi ci siamo affannati tra link di canzoni, playlist, tra inside-jokes e parole su parole significative solo per noi stessi, lui ha sempre preferito scriverle, le canzoni. Regalarsele e regalarcele.

Un Kozelek comune mortale, su social, avrebbe pubblicato il link youtube a Shock Me dei Kiss e avrebbe scritto, non so, «gran pezzo, ci sono tanto affezionato». Ma Kozelek è un artista e di questo fatto dovremmo essere grati.

Ci sono due versioni di Shock Me qui, entrambe trasfigurate rispetto al sound e all'andazzo muffa-rock classico dell'originale: la prima è un sadcore elettrico e distorto, di canonico e cupo mood paintersiano, che anticipa l'ambiente di Ocean Beach; la seconda una ballata per piano e chitarra acustica che reca in finale una versione strumentale della bella A Million + 8 Things, dei primissimi Red House Painters. Entrambe indimenticabili, con un Kozelek la cui indolenza è capace di demolire e travisare - ma volontariamente - anche il più testosteronico e fetish dei rock classici, per rigettarlo come depressa, svogliata richiesta d'aiuto. Sundays And Holidays è una voce-e-acustica sul passare le vacanze all'ospedale e oltre alla suggestione di alcune immagini, è forte di un elegante fingerpicking, mentre Three-Legged Cat è una morbida e breve filastrocca su una non troppo figurata menomazione.

Per completezza, per completisti e perché se siete arrivati a Kozelek solo quest'anno, dovreste scoprire che nei primi novanta la sua voce aveva qualcosa in più, qualcosa di speciale, unico e inspiegabile. Ma anche per chiunque altro.

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