Glastonbury. Terra di allineamenti esoterici e leggende. Ma anche terra che respira musica. Il festival che tiene luogo in questa città dai primi anni 70 è tra i più famosi d’Inghilterra. Ora sto divagando. In realtà nel caso specifico Glastonbury è solo la città che ha dato i natali alla band che mi appresto a recensire.

I Reef sono quattro ragazzi che suonano rock, quello sanguigno, di strada. Quel rock’n’roll chitarristico che affonda le proprie radici nel blues più inquieto. Lo si potrebbe intuire per assonanza alla parola chiave del genere: “riff”. Oppure perché il monicker può essere visto come l’anagramma della parola “free”, rimando ad un altro gruppo seminale del rock. Ma queste sono semplici congetture, mentre la musica della band non lascia niente al caso.
Chitarre taglienti, ritmiche esplosive e pochi fronzoli. Una spruzzatina di organo qua e là, qualche intervento pianistico ed ecco pronta la ricetta. Quella della nonna, la più semplice, ma anche la più genuina. Non c’è niente di nuovo nella musica dei Reef, i rimandi sono chiari: Rolling Stones e Faces su tutti. A partire dalla voce del cantante Gary Stringer, che risulta essere un riuscito incrocio tra Mick Jagger e Rod Stewart. Una voce ruvida, graffiante, anima e passione ad ogni intonazione.
Devono la propria fortuna all'ex Style Council Paul Weller, che li scopre e decide di portarli con sé in tour. “Glow” esce nel 1997 ed è il secondo disco del gruppo, dopo il buon esordio “Replenish” che già aveva piazzato qualche singolo nelle classifiche britanniche.

Place your hands” è invece l’hit apripista di quest’album, una sezione ritmica che pompa ritmo e potenza e un ispirato riff che ricorda il Keith Richard dei tempi migliori. La canzone entra nella top ten inglese e dopo breve tempo il disco raggiunge addirittura la vetta.
Glow” è un concentrato di energia fresca, un vero e proprio attentato ai tendini, con le chitarre granitiche di “I would have left you” o il wah-wah della funkeggiante “Lately stomping”.
Ma non mancano i momenti più morbidi, con le venature soul della splendida ballad “Consideration” o la bucolica “Lullaby”.

La rivista “Kerrang” ha recentemente messo questo disco al 26esimo posto nella classifica dei “100 album da aver ascoltato prima di morire”. Un esagerazione, sicuramente. E personalmente non è un disco che riesco ad ascoltare in ogni momento. Ma quando ho bisogno di scaricare l’adrenalina che ho in corpo, o semplicemente di una botta di vitalità, non c’è niente di meglio. O quasi.

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