L'horror all'italiana fu praticamente inventato da Riccardo Freda nel 1956 (I vampiri), ma l'anno di nascita vero e proprio va collocato nel 1960, quando Mario Bava girò La maschera del demonio e fissò canoni e tematiche di un genere che, fra l'ostilità della critica nazionale e l'entusiasmo di quella straniera, si sviluppò parallelamente ad analoghe esperienze europee (i gotici della Hammer) e americane (le riduzioni di Poe ad opera di Roger Corman), e che trovò in Bava, Freda e Antonio Margheriti tre eccellenti autori-artigiani, e in Barbara Steele un'interprete dal fascino anomalo e inconfondibile.

In questo filone va inquadrato L'orribile segreto del dr. Hichcock, terza incursione nell'horror di Freda (ma il nome è americanizzato in Robert Hampton, secondo l'uso del tempo), nonché altro imprescindibile punto di riferimento per la definizione del genere.

Nella Londra di fine 800 Bernard Hichcock (Robert Flemyng), medico prestigioso, è l'inventore di un anestetico che ha il potere di indurre i pazienti in uno stato di morte apparente. Per dare sfogo a una propria mania erotica lo somministra alla moglie, che per errore muore veramente. Scioccato dall'avvenimento il medico abbandona la casa e vi fa ritorno solo dodici anni dopo, insieme alla nuova moglie Cynthia (Barbara Steele). Strani fenomeni, rumori notturni, presenze misteriose inquietano la fanciulla spingendola sull'orlo della pazzia: con l'aiuto di un giovane collega di Hichcock (Montgomery Glenn, alias Silvano Tranquilli), Cynthia scoprirà una serie di inquietanti verità sul marito, che nel frattempo sta cercando di farle fare la stessa fine della prima moglie...

Le cifre costanti del gotico all'italiana ci sono tutte: un soggetto all'insegna di tematiche inconsuete (perlopiù perversioni sessuali: in questo caso è la necrofilia, altrove saranno incesto e sadomasochismo), atmosfere insane e malate, un uso inventivo della fotografia e del colore, scenografie inconfondibili; e un'eleganza figurativa e stilistica impressionante, se si considera che questi film venivano realizzati in pochissimi giorni con budget ridotti all'osso.

Peculiare è l'omaggio ad Alfred Hitchcock (esplicitato nella storpiatura del nome del protagonista), in particolar modo a Rebecca e a Il sospetto; ma non stupisce che proprio il grande regista inglese, già cantore di un'ossessione necrofila (Vertigo), sia nume tutelare di un'operazione di questo tipo, incentrata su un personaggio affetto da una patologica attrazione verso la morte e i cadaveri delle fanciulle, come mostrano alcune scene relativamente esplicite e piuttosto scioccanti per l'epoca (quando i vari Joe D'Amato e Jorg Buttgereit erano di là da venire).

L'altro omaggio, più ovvio, è a Roger Corman. L'ambientazione tardo-ottocentesca e la tipica scenografia (il maniero abbandonato con i suoi passaggi segreti e i suoi corridoi oscuri) vengono pari pari da Il pozzo e il pendolo, girato l'anno prima. Siamo peraltro lontani da una mera opera di calco: è notevole semmai come Freda ponga l'accento sulle componenti più sottili, meno plateali, del cinema di Corman e del gotico in generale, quali l'onirismo diffuso e la persistente sensazione di ambiguità. La scansione labirintica, quasi destabilizzante, dello spazio (la tetra magione del dr. Hichcock è in realtà una villa pariolina di Roma) e le sorprendenti incursioni nel mondo soggettivo dell'eroina danno luogo ad un'atmosfera da incubo, cui contribuisce egregiamente la colonna sonora scritta da Roman Vlad. Il culmine è la scena dell'aggressione di Hichcock a una Cynthia immobilizzata e narcotizzata, dove il volto del marito, visto in soggettiva dalla donna, è deformato con un sorprendente, e terrificante, effetto ottico. Meno clamorosa ma ugualmente memorabile è un'altra scena, quella di Cynthia che urla chiusa dentro una bara (citazione del Vampyr di Dreyer?): lo spettatore vede la bocca muoversi ma, espediente geniale, non può sentire le grida.

Trattandosi di un film del 1962, lungaggini e ingenuità sono inevitabili, come inevitabile è la legnosità degli attori, se si eccettua la presenza ammaliante di Barbara Steele nel ruolo per lei inconsueto della vittima. Ma un film come questo è la lampante dimostrazione che il grande cinema non vive solo di grandi mezzi, e che intelligenza, creatività e cultura possono ben riscattare le ristrettezze del budget: (anche) in questo sta il valore dell'horror anni sessanta, e di tanto cinema volgarmente detto "di serie B".

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