Non me ne voglia un utente DeBaseriano, il cui nick potrebbe icasticamente spezzare a monte ogni mio tentativo di omaggiare questo film, ma tant’è… io ci provo ugualemente.

La storia è ambientata in Australia, in un climax di città: Brisbane, Melbourne, Sidney. Il  protagonista, già provetto pianista in 'Shine' e padre senza soldi nel remake burtoniano della “Fabbrica”, è un inquilino a perdere. Questo suo curriculum lo fa entrare di diritto nella galleria dei miei personaggi preferiti. Chi non ha cambiato almeno 15 case nella sua vita e altrettanti neuropatologici coinquilini è pregato di preferirgli, chessò…, Leonida di “300”…
Il suo strimpellare male una chitarra, cimentandosi sempre sulle note di “California Dreamin'”, anticipa un malessere che trova l’unico sfogo in un ideale di fuga, puntualmente realizzato.

Mia nonna mi diceva, “sei come una mosca d’oro, giri e rigiri, andrà a finire che ti poserai su una merda (testuale)… e a me che mi piaceva tanto la Lucia… era una così brava guerzetta”…

É nella mia indole un po’ zingaresca cercare il difficile e il laborioso; troppo facile fermarsi a dormire sotto lo stesso tetto per più di 10 mesi. Anche le donne, si sa, a noi ci piacciono un po’ così…
Come la femme fatale del “Morì con un felafel in mano”, per tutti una dark bruttina, con un foruncolo vicino al naso e gli occhi leggermente storti, per te una maliarda e incantevole principessa delle lune future, e quegli occhi storti sono strabismo di venere, e quel forunculo un piccolo difetto che ne amplifica la bellezza… che poi non è neanche un difetto, diciamo una sua peculiarità… Non la guardiamo neanche la biondina che ci fa la corte da una vita, quella che cerca di uccidersi ascoltando “The Mercy Seat” di Nick Cave. Ce ne ricordiamo soltanto verso la fine. Dopo tutto è un film. E in questo fin troppo dolce…

Il film è grottesco e volutamente sopra le righe. Il protagonista vorrebbe scrivere come il sommo Fedor delle “Notti Bianche” e invece la sua sola opera letteraria trova spazio nelle paginone di Penthouse. Anche i suoi “amici” non se la passano meglio: cultori della tintarella albina, modelli frustrati, puttanieri dagli amici “un po’ “nazisti”, schiavi del telecomando e di Star Trek, drogati e anarco-nichilisti, tutti alla ricerca di uno spazio vitale. Neanche l’ombra di un koala o di un canguro. Solo esistenze alla deriva, come a Roma, come a New York, come a Berlino.
L’Australia secondo questo film conta 20 milioni di anime in pena, in un natìo borgo selvaggio grande come un continente. Memorabile l’intransigenza becera della polizia, degli esattori delle tasse, degli impiegati alla ricerca costante di una vittima sacrificale, quasi sempre la più debole del gruppo.

Il film scorre tra eterni ritorni, sfighe continue e sigarette, migliaia di sigarette. Accompagnato da ottime musiche e dialoghi al limite (si pensi all’analisi in chiave omosex del finale di Reservoir Dogs), è una fuga nell’inconsolabile esistenza.

Poco apprezzato da critica e pubblico, a mio parere trattasi di piccolo dolceamaro capolavoro.

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