Il Sessantotto e il cinema. Sarà pure una cosa scontata, ma le testimonianze cinematografiche più genuine e sincere di questo momento storico risalgono proprio a quegli anni. Tra l'altro, la critica e l'opinione pubblica di oggigiorno sono particolarmente impietosi nei confronti di quei film, giudicati perlopiù ingenui, confusi e datati (facile dirlo, quarant'anni dopo!). Tra di essi, va annoverato anche "L'impossibilità di Essere Normale" (1970) di Richard Rush.
All'alba delle contestazioni giovanili di fine anni Sessanta, il newyorkese Rush dimostra da subito un simpatetico interesse con le allora nuove istanze: già nel 1968 realizza "Psych-Out" (con dei giovani Jack Nicholson e Dean Stockwell), omaggio al flower power e in particolare all'eldorado psichedelico di Haight-Atsbury. Due anni più tardi, egli abbandona i toni apologetici che contraddistinguono questo lungometraggio e, con un approccio più lucido e distaccato, sposta l'attenzione sulla questione delle rivolte studentesche.
Harry Bailey (Elliott Gould) è uno studente di letteratura inglese prossimo alla laurea. Brillante e anticonformista, nutre il sogno di insegnare alle scuole medie, poiché, a suo dire, si tratta di un ambiente non ancora contaminato dalla marcescenza che dilaga nelle università, e svolge un tirocinio presso lo stesso istituto in cui studia, in una classe di alunni problematici. Purtroppo per lui, la sua preparazione risulta alquanto difficoltosa: i suoi compagni di corso gli rimproverano di non impegnarsi più nella causa delle proteste, mentre gli insegnanti lo pressano perché vorrebbero inculcargli i loro metodi di insegnamento e punti di vista obsoleti. Peraltro, il giovane conduce un'altalenante e burrascosa relazione con Jan (Candice Bergen), ragazza bella ma facilmente condizionabile: ora desidera sposarsi e trovare una comoda sistemazione borghese, poi si sente pienamente coinvolta nelle ribellioni studentesche, infine, in un momento di momentanea separazione da Harry, si fa abbindolare da un arrogante ginecologo che le propone un'improbabile speculazione finanziaria. Costantemente diviso tra naturale idealismo e l'impellente necessità di costruirsi un futuro, egli opta per la seconda alternativa e si prepara ad ogni costo alla laurea. Ma, in sede di discussione, proprio mentre fuori dall'edificio infuriano gli scontri tra studenti e istituzioni, un serrato confronto con un ottuso commissario esterno ridesta in Harry lo spirito libero e anticonvenzionale che negli ultimi tempi ha tenuto faticosamente a bada...
Forte di una scintillante interpretazione di Gould (la scena dell'exploit finale di Harry di fronte ad un'atterrita commissione è da incorniciare!) e di una regia di Rush rapidamente maturata, soprattutto se confrontata con quella onesta ma alquanto ingenua di "Psych-Out", il film si situa tra commedia e dramma in modo spontaneo, riuscendo alternativamente a far sorridere e a far riflettere. Ancor oggi, poi, risulta difficile non provare solidarietà per un personaggio come Harry Bailey: meglio tener fede ai propri ideali in ogni caso o essere disposto a sacrificarne almeno qualcuno per fare strada? Bella domanda. Se molti film di quell'epoca, come, ad esempio, il già citato "Easy Rider" o "Zabriskie Point" di Michelangelo Antonioni, propendono chiaramente per il ribellismo più istintivo, questo dimostra che la verità, se non nel mezzo, sta a due terzi. Proprio per questo non capisco chi lo taccia di essere datato. Personalmente, non trovo nemmeno giusto definire "invecchiata male" un'opera che esalta lo spirito del tempo in cui è stata concepita, poiché bisogna saperla contestualizzare. A maggior ragione, trovo ancora più meritevole un'opera che prende spunto dal contesto storico e sociale in cui è stata creata per proporne un'intelligente ed equilibrata riflessione. "L'impossibilità di Essere Normali" fa parte proprio di questa seconda schiera: non vi è traccia di esaltazione all'uso di droghe, all'amore libero e al pacifismo più ordinario. Anzi, a questo punto è d'obbligo menzionare un altro personaggio della storia, non molto funzionale allo svolgimento, ma simbolicamente significativo: si tratta di Nick (Robert F. Lyons), l'amico fricchettone di Harry, un giovanotto che passa le giornate a fare di tutto per sfuggire alla chiamata alle armi e a fumare spinelli, l'archetipo del parassita che abbraccia senza troppa convinzione gli ideali pacifisti per rifuggire le proprie responsabilità. Una caratterizzazione acuta, che fa sicuramente sorridere, ma anche ragionare. Altrettanto interessante è la figura di Jan (un plauso anche alla Bergen), che sembra rappresentare quella moltitudine di giovani incapaci di ragionare con la propria testa e dunque sempre alla ricerca di una guida, un leader, uno slogan da proclamare.
A pensarci bene, questi characters non son poi così anacronistici. Tanto meno lo è un importante insegnamento che sottende questa pregnante pellicola, ovvero l'invito ad utilizzare il proprio bagaglio culturale in modo attivo e personale, senza farsi influenzare.
"Non sono qui per imparare, sono qui solo per prendermi la laurea " (Harry).
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