(e mi sforzo di non aprire parentesi, e nemmeno di fare troppe punteggiature)


Capitolo uno: no non sono parente. Sì perché non lo so voi, ma se vi dicono Strauss a me viene in mente il cazzo di bel Danubio blu. E tutti gli scemi austriaci che battono le mani fuori tempo nel meraviglioso concerto di capodanno. No, lui no. Lui, con quegli Strauss lì non c'entra una beata minchia. Non erano suoi cuggini, né parenti, né niente. Ma proprio quella musica lì a lui non gliene poteva fregare di meno. Fine capitolo uno.


Capitolo due: sì sono io. Sono io, proprio io, Richard Strauss. Quello che - per almeno metà della vostra adolescenza - vi ho rotto i coglioni, nel meraviglioso arrangiamento di Eumir Deodato, con l'Also Spracht Zarathustra. Quel cazzo di pàpàpàrapaaaaa. Quella cosa talmente meravigliosa che se la risento oggi mi viene da vomitare. Poi a quel tempo era facile. Era: dai, sta cazzo di musica classica fa cagare. Tipo mettono pure Wagner per sparare contro i vietnamiti!


Capitolo tre: sì, sono io e non so perché. Non lo so perché. Davvero non lo so. Allora - giusto per scrivere una cosa che fa tanto recensore e non cazzeggiatore libero - Strauss Richard (no parente) è recente. Muore nel 1948. Quindi almeno una generazione dopo Peppino. E anche dopo Puccini per dire. E cosa scrive? Ecco, giuro, questa è la cosa strana. Scrive un sacco di cose. Che le so tutte. Che ne so, Salomé, il Cavaliere della rosa, Morte e trasfigurazione, un mare di cose, ma sul serio. Ogni volta che sento solo il titolo di una di queste cose dico: casa mia. Mi giro. Non c'è uno scaffale Strauss no parente. No, non è che non c'è uno scaffale. Non c'è nemmeno un disco. Nemmeno uno. Eppure ogni cosa è casa mia. Cioè, per dire, sarei capace di parlare (con traduttori davanti) sul ruolo della Marescialla nel Rosenkavalier. Eppure non ce l'ho. Perché? Ho una vaga idea, ma degna di indagini.


Capitolo quattro: 4 cazzo di canzoni. Beh, insomma, sia come sia. Strauss, no parente, alla fine successo ne ha. Pensa che pure io, Monza, 2019, so a memoria ogni titolo di ogni sua opera. Che ogni volta che lo sento dico casa mia. Poi mica si capisce bene se è amico dei nazi o no. Insomma c'ha i suoi problemi. Amicissimo di Zweig (la novella degli scacchi) ebreo, ma pure c'ha la sua carica e la tiene e non dice niente. Insomma, vive il suo tempo, e il suo tempo gli propina merda. Però poi, anche per lui, arriva l'età della pensione. Quota 100, forse. Robe così. E cosa fa? Fa le cose normali. Si ritira, va sul lago, legge le poesie. In particolare robe di Herman Hesse (eh, vaffanculo, ascolto musica lirica per colpa sua). E se ne sta lì. Bello e tranquillo. Che al lago si sta pure bene. E ormai le cose peggiori sembrano essere passate. E nessuno ti chiede niente. Poi ci si mette il figlio. Che rompe le balle. Che certo pensa all'eredità. E gli rompe le balle. Fino alla morte. Dai, cazzo, papà, dai, qualcosa ancora.


Capitolo cinque: quattro cazzo di canzoni ancora. Che questo è il titolo. Quattro cazzo di canzoni. Tre su testo di Hesse (eh) una di un altro suo prediletto. Ma solo quattro canzoni. Che ci sarebbe da aprire una parentesi, su questo, su una cosa che parte da Winterreise, ma ho deciso che non la apro. E che - sentiti i sindacati - di Winterreise non parlo. Perché? Perché di Winterreise ho in cd un'edizione meravigliosa. Dietrich Fischer Dieskau. Scusate se è poco. Sono ormai convinto che sia il miglior Rigoletto mai esistito. Lui. Un cazzo di crucco. Ma lo è. Ha una voce meravigliosa. Meravigliosa è dire poco. Bene, sto per chiudere la parentesi. Di Winterreise (Schubert voleste saperlo) ho un'edizione meravigliosa. Un cd. Dal vivo. Dieskau. E un cazzo di crucco di merda in prima fila che ha una cazzo di tosse asinina. E che per tutta la serata rompe i coglioni. Chiudo parentesi prima di passare a cose poco politicamente corrette.


Capitolo sei: che il cinque l'ho sprecato. Il figlio rompe le balle: dai componi. Magari ci danno i diritti d'autore e io riesco a non lavorare mai. Oppure a fare i valzer come quelli là non miei parenti ma fa niente. Bene. Strauss padre no parente cede. Quattro canzoni ancora. Che sarebbe anche semplice. Perché leggi i titoli. Primavera, Settembre, Andando a dormire, Tramonto. Dai, facile. L'addio alla vita. Robe così. Peccato. No. Mica è così. Tramonto è la prima. Primavera forse l'ultima. Mica si sa in che ordine le volesse. Se un ordine lo pensava o no. Un ordine? Una di quelle cose come un libro di Hesse che parlava di cosa puoi essere, come di pedine che puoi mescolare come vuoi? Ma no, dai, queste sono solo le ultime quattro cazzo di canzoni. Che vai davanti al pubblico, gliele canti, gli dici grazie. Le hai fatte per tuo figlio, magari da grande fa i valzer. Li suonano gli austriaci a capodanno battendo le mani.


Capitolo sei: cosa non perdonerò mai a Strauss. A questo qua. Non parente. Di fondo due cose. O tre. Una: sto cazzo di Also Spracht Zarathustra. Due: di sapere a memoria ogni sua cosa senza sapere perché. Tre: un cazzo di lieder. Molto prima degli ultimi quattro. Uno che parla del giorno dei morti. E che se frugate negli ascolti lo trovate. Quattro: gli ultimi quattro lieder. Le ultime quattro canzoni. Una roba da spavento. Da tanto che li senti e dici è casa mia.

Cinque: quello che sto ascoltando adesso. Che dopo quelle ultime quattro canzoni ne scrive un'altra. Una quinta. E' facile trovarla se googlate. E' semplice, tranquilla. Se mai volessi parlare di quel poco che capisco di musica vi direi che è una cosa per divertimento. Così succede che di questo scemo di Strauss - non parente di quelli del danubio blu che i crucchi battono le mani e che mi ha rovinato l'adolescenza con lo zaratustra - questa cazzo di canzoncina dedicata alla malva (nel senso del fiore) l'avrò sentita già almeno venti volte. E magari vi interessava anche a voi. Così mi sono detto perché non lo scrivo qui?

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