Eccoci qui, finalmente. Da quando ho cominciato a parlarvi di opera, questo signore l'ho tirato in ballo quasi sempre, in un modo o nell'altro, a volte lanciandogli qualche frecciatina (diciamolo pure, qualcuna di tanto in tanto se la merita tutta): è inevitabile, piaccia o non piaccia, qualunque opinione si abbia sulla sua musica, sulle sue idee, sul personaggio, chi si occupa di opera non può fare a meno di confrontarsi con Wagner, tanto immenso è stato il suo contributo allo sviluppo di questa forma d'arte. Ora, però, quello che vorrei fare è parlare di Wagner in maniera il più rilassata possibile, rifuggendo da esaltazioni mistiche e da quella fastidiosa patina di "eccezionalismo" che lo circonda, alimentata a dismisura dai suoi discutibilissimi discendenti ed eredi diretti. E quindi, cominciamo con un Wagner giovane, un Wagner molto diverso da come lo si conosce abitualmente, un Wagner "apocrifo", che non si prende troppo sul serio, a misura d'uomo.

Das Liebesverbot è la seconda fatica teatrale del Nostro, poco più che ventenne all'epoca; questa, la precedente Die Feen e la successiva Rienzi, der letzte der Tribunen, sono le sue uniche opere a non essere entrate nel repertorio standard e nemmeno nel "canone aureo" di Bayreuth. Ora, in due parole, il Bayreuth Festspielhaus è un teatro, la cui costruzione fu fortemente voluta dallo stesso Wagner e pesantemente finanziata dal suo fan numero uno, re Ludovico II di Baviera; dal 1876 ad oggi a Bayreuth sono state rappresentate solo ed esclusivamente le opere di Richard Wagner, ad eccezione delle prime tre. Come mai? Eccezionalismo, per l'appunto, l'idea è quella di propagandare l'immagine di un Wagner già "titano", senza un periodo di formazione, ed il ritratto ufficiale ne risulta, giocoforza, incompleto. Non è del tutto chiaro se la responsabilità di questa antipatica scelta sia da attribuire a Richard medesimo o piuttosto alla moglie Cosima, la più immediata dei discutibilissimi eredi citati in precendenza, le fonti divergono ma, purtroppo, così è. Ci sarebbe poi un altro evidente motivo per cui le opere giovanili sono state nascoste sotto il tappeto: ascoltandole si nota immediatamente la profonda influenza di Giacomo Meyerbeer, soprattutto nel caso di quella titanica grand opera che è Rienzi, ma anche lo stesso Liebesverbot si rifà molto allo stile di quel grandissimo compositore, la cui relazione con Wagner è una storia dai contorni decisamente amari e grotteschi.

Cambiamo registro, però, anche perchè questa introduzione dai toni seriosi mal si adatta al mood offerto dal Liebesverbot, ispirato dalla commedia shakespeariana Measure by Measure e ambientato in Sicilia. Questa particolare scelta è un omaggio dell'allora giovane e faticosamente emergente compositore a Vincenzo Bellini (riguardo al perchè Wagner stimasse enormemente Bellini basti ascoltare il preludio orchestrale che introduce la gran scena della pazzia di Imogene, ne Il Pirata) ma, in sostanza, qui di belliniano non c'è praticamente nulla. L'ambientazione siciliana rimanda piuttosto al Robert le Diable di Meyerbeer, questa si un'influenza molto evidente e tangibile. Comunque, Das Liebesverbot, pur nel suo essere un'opera "giovanile", e sicuramente l'opera in assoluto meno wagneriana del suo repertorio, è pur sempre caratterizzata dal un marchio di fabbrica inconfondibile del compositore. Già allora RW mirava a un flusso sonoro il più possibile fluido e unitario, basti pensare che qui gli episodi "chiusi" sono anche meno accentuati rispetto a opere come Der Fliegende Hollander, Tannhauser e Lohengrin, e soprattutto in completa rottura con la tradizione teutonica del Singspiel. E già allora nella sua musica c'era quel carattere esuberante, quell'orchestrazione gonfia, in pratica quella "chiassosità" rilevata da Oscar Wilde nel ritratto di Dorian Gray.

Amore carnale e amore spirituale, redenzione attraverso l'amore: Richard Wagner era leggermente (ma giusto leggermente, eh!) fissato con questi concetti, e già li proponeva nel Liebesverbot, ma in una forma assai più sbarazzina: una volta tanto è il primo dei due a trionfare pienamente nel finale, e ad essere visto come antidoto positivo all'ipocrisia puritana della società dell'epoca, la stessa ipocrisia puritana che in seguito rappresenterà graficamente (e con realismo agghiacciante) nel finale del secondo atto del Tannhauser. Altra fissazione wagneriana era la connotazione psicologica dei suoi personaggi, anche quelli semplici e popolareschi del Liebesverbot li sviluppa bene e con la giusta profondità; a proposito di personaggi, notate che l'ipocrita puritano, lo zimbello della situazione è il proconsole Friedrich, tedesco, e questa è una brillante dimostrazione di intelligenza e autoironia. Quindi no, il giochino "trova lo stereotipo giudeo nel cattivo di turno", che è stato fatto più o meno a sproposito su altre opere wagneriane, qui proprio non funziona.

Ok, ma alla fine ce lo vuoi dire com'è, come suona questo Liebesverbot? Liebesverbot è come un frutto di marzapane (peraltro una tradizione sia siciliana che tedesca): colorato, fragrante, gustosissimo, forse un po' troppo per palati "new age"; è un'opera efficacissima, che centra in pieno gli obbiettivi prefissati: divertire e fare anche un po' di satira. Come molte altre commedie, presenta un cast vocale di dimensioni generose, con due bassi, due tenori e tre soprani, di cui uno di coloratura (Dorella, l'unico ruolo wagneriano per questo tipo di vocalità); sono tutte parti squisitamente liriche, quindi nel Liebesverbot non sentiamo i vari heldentenor, hoch dramatischer sopran e bassi-baritoni solitamente all'opera nel suo repertorio. Introdotta da una spettacolare, giocosa overture dalla struttura curiosamente "stop and go" (mezzo Rossini e mezzo Wagner tradizionale), conclusa ovviamente con un lieto fine, in mezzo soprattutto tanti bellissimi duetti, struttura portante e vero punto di forza dell'opera, brillanti e strutturati alla perfezione, spesso rafforzati da interventi corali molto spumeggianti e di grande impatto scenico, in stile Meyerbeer; notevole anche il monologo di Friedrich che precede il gran finale, una rilettura in chiave personale della tipica struttura all'italiana con recitativo, aria e cabaletta, o almeno un accenno di cabaletta in questo caso; qui non raggiunge i livelli stratosferici di un Rossini o di un Verdi, ma l'esito è comunque pregevole. Ora, tenete a mente che questo signore ha composto anche il Ring e Tristan und Isolde, tra le altre cose, quindi mi è fisicamente impossibile attribuire il massimo dei voti ma insomma, parliamo comunque di roba veramente bella e, oltre che bella, adorabile, che spesso è anche meglio.

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