Sapevo cosa scrivere ancor prima di finire il libro. Avevo già colto il nocciolo della questione, il messaggio che R. Wright -non il rimpianto Pink Floyd- aveva mandato. Non perchè io possegga chissà quale straordinaria perspicacia, ma perchè l'autore, vestendoci dei panni del protagonista Bigger Thomas, ci aiuta a comprendere con largo anticipo quale sia appunto il messaggio, al di là della conclusione del romanzo. E -incredibilmente- non per questo il narrare diventa prevedibile o pesante. Richard Wright riesce a creare ancora tanto quando già si pensa che tutto sia stato detto: non veri e propri colpi di scena, ma nuove declinazioni di ciò che si è già intuito.

Dopo aver letto "Uomo Invisibile", un capolavoro, ho lasciato che passasse qualche mese prima di rituffarmi nella letteratura afroamericana; pensavo che nulla potesse reggere il paragone. Ed in un certo senso è così, se si considera l'eccezionalità del romanzo di Ralph Ellison. Ma paragonare "Uomo Invisibile" e "Paura" è stupido. Il primo è modernista, simbolista, fortemente quanto sottilmente influenzato da T.S. Eliot Nietzsche e Joyce. Il secondo, pur incentrandosi sulla psicologia del protagonista, è realista, di una spietatezza più spregiudicata, persino verista nella misura in cui descrive senza giudicare e commentare.  Verista, modernista, realista simbolista... sta di fatto comunque, che il fantasma pericoloso di "Uomo Invisibile" non ha aleggiato su "Paura" mentre lo leggevo, e la dice lunga sul suo valore.

Non mi sembra il caso di parlare della storia di Bigger Thomas, sarebbe inutile e rivelerebbe troppo del romanzo, che mi piacerebbe scopriste da soli, se deciderete di cercare "Paura" anche in capo al mondo (scelta consigliata).  Bigger non ha subito un'ingiustizia. "Un'ingiustizia che continua per tre lunghi secoli e che ha luogo fra milioni di persone e sopra migliaia di miglia di territorio, non è ormai più una ingiustizia; è ormai un fatto compiuto della vita"; "Il concetto stesso dell'ingiustizia riposa sopra una premessa di eguali diritti".

Non c'è da spaventarsi per queste due frasi: non sarà un saggio, o un romanzo-mattone che avrete fra le mani se deciderete di inseguire "Paura" fino agli infiniti angoli del globo (scelta consigliata). Queste citazioni sono utili perchè descrivono precisamente il terreno sul quale la vicenda cresce e si svolge. La paura governa le vite dell'America segregazionista.  "We're already dead, just not yet in the ground" canta John Cale in "Fear's Man Best Friend"; la paura non è la migliore amica di Bigger, Bigger odia la paura, odia quella sensazione fisica che è più della paura. Tuttavia essa è la sua migliore amica perchè è inseparabile da lui, inscindibile, e se viene separata, Bigger è un pesce fuori dall'acqua, un cane dentro l'acqua, e può mordere.

Ho potuto leggere "Native Son" (vero titolo del romanzo) solo discontinuamente, ma ogni volta bastavano davvero poche righe per venire assorbito dalla storia, dalle sue implicazioni, le riflessioni che inevitabilmente suscita.  "Paura" (1940) racconta profondamente l'America razzista, il razzismo come può essere in ognuno degli infiniti angoli del globo -"casa nostra" compresa- e cosa può far provare ad un uomo.

Carico i commenti...  con calma