Richard Youngs, attivo fin dagli inizi degli anni novanta, è una delle realtà più entusiasmanti che l'attuale panorama musicale possa offrirci. Giovane polistrumentista di Glasgow, Youngs ha dimostrato a più riprese un talento e una prolificità fuori dal comune, nonché un'ispirazione, almeno per il momento, apparentemente inesauribile.
La sua musica, seppur artigianale, è colta, raffinata, e per inquadrarla è lecito scomodare un nome grosso come Robert Wyatt. Non solo per il suo falsetto etereo che tanto ci ricorda il Re di Canterbury, ma anche e soprattutto per la straordinaria capacità di saper coniugare cantautorato ed avanguardia, il tutto naturalmente al servizio dell'espressione delle emozioni più sincere. Il lavoro di Youngs nasce nel calore e nell'intimità della dimensione casalinga, la quale viene però miracolosamente trascesa da atmosfere rarefatte, spirituali, oniriche. Ma ben lungi da chi s'improvvisa artista strimpellando alla meno peggio uno xilofono per bambini, Youngs è senza dubbio uno degli esponenti più credibili di una scena, quella lo-fi, che rischia di implodere in se stessa, vittima del proprio autocompiacimento e dell'idea, errata, che attitudine e metodo facciano i contenuti (come giustamente ci ricorda proprio in questi giorni Hal nella sua recensione sulla Ralfe Band).
L'arte di Youngs è libertà espressiva allo stato puro, in essa analogico e digitale s'intrecciano con semplicità, tatto ed eleganza, percorrendo i binari che il sentimento e le emozioni del momento impongono. Si ricorre agli strumenti più disparati ed improvvisati, quindi, ma senza disdegnare la tecnologia e tecniche di registrazione innovative ed originali, e per questo la sua musica è un miracolo di improvvisazione, spontaneità, ma al contempo riflessione, meditazione, volontà di perseguire pattern concettuali ben precisi.
"The Naive Shaman", del 2005, fa parte di una serie di opere in cui Youngs decide di concentrarsi su un singolo strumento, scelto di volta in volta quale voce per esprimere il proprio sostrato emozionale. In "The Naive Shaman" lo "strumento" prescelto è la voce. Pur non contando su doti canore fuori dal comune, Youngs, calatosi umilmente nel ruolo di un "fanciullo sciamano", si diletta nell'esplorare le potenzialità evocative del suo falsetto, limitandosi a contornarlo di una strumentazione minima ma efficace. Pervaso da ossessioni paniche, "The Naive Shaman" gioca di fatto sul contrasto fra il canto etereo, liturgico, sciamanico di Youngs e il ribollire irrequieto di un'elettronica minimale, tantrica, dominata dai suoni di un basso impalpabile e rarefatto, rischiarata talvolta da sporadici arpeggi di chitarra e dal tamburellare lontano di percussioni a mano che conferiscono al tutto un vago sapore etnico.
"Life on a Beam", "Illumined Land", "Once It Was Autumn" sono preghiere pagane, canti che fluttuano e si perdono nella rarefazione del cosmo infinito. Una malinconia che si stempera nella dolcezza spirituale, nella nostalgia, nella volontà di smaterializzarsi e confluire (nuovamente) in qualcosa di più ampio. I testi, ermetici e dai forti connotati simbolici, colpiscono più a livello di musicalità che di messaggio. E' la dimensione lirica stessa a cadere in secondo piano e calarsi in un disegno dove a prevalere è il medium della musica in quanto tale. Da segnalare, fra gli episodi degni di rilievo, l'ipnotica "Sonar in my Soul", sorta di "trip-hop spaziale" sorretta da un giro di basso in loop e da voci che si sovrappongono in avvolgenti litanie: decisamente il momento più "movimentato" dell'opera. Degna di menzione anche la conclusiva "Summer's Edge II", un esperimento free lungo ben 16 minuti, che ci consegna lo Youngs più psichedelico ed improvvisatore: intrecci sonori che vanno a ripercorerre e mimare le sensazioni di ascesi e penetrazione panica che devono aver ispirato l'artista nella realizzazione dell'opera, che, da questo punto di vista, si rivela senz'altro riuscita negli intenti.
Si è dipinto questo album come un capolavoro dei nostri tempi. Io parlerei piuttosto dell'opera sentita di un artista genuino, coraggioso ed umile al contempo. Un talento che, in virtù del proprio innegabile potenziale artistico ed espressivo, è in grado di trascendere etichette, porsi al di sopra di scene e correnti stilistiche ed azzittire a suon di musica il chiacchiericcio isterico di un giornalismo affamato di nuove rivelazioni.
Sarà il tempo a dire se ci troviamo innanzi ad un pezzo di storia. Per adesso limitiamoci ad immergerci in questa suadente musica senza tempo e confluire, attraversa essa, nello Spirito Universale a cui sembra anelare lo stesso Youngs. Ohmmmmmmmmmmm
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