Quando il primo disco solista è, in ordine cronologico, il più recente di tutta una carriera, spesso vuol dire che la band s'è sciolta, non è così?

Eppure i Catherine Wheel non hanno mai dichiarato d'essersi sciolti, sebbene siano oramai sei anni che non dànno alcunché alle stampe. I vari formers, come sempre accade, prendono parte a side-projects, sostituiscono altri musicisti in altre bands, vanno a fare i session men... Al vocalist, invece, non rimane che metterci la voce e la faccia ancora ed ancora. Alcuni mettono su un'altra band, altri invece fanno dischi e ci mettono pure il loro nome.

Il debutto di Rob Dickinson avviene con un disco di matrice classica e matura, con un sound che è debitore dei maestri del poprock, britannico quanto statunitense, ma che di primo acchito sembra strizzare l'occhio a certo brit-powerpop di buona fattura. Una musica che, comunque, non è nient'affatto appannaggio degli adolescenti, se non fosse per l'esistenza di una band ad essi nota come i Coldplay. Un disco non difficile ma nemmeno compiaciuto ed orecchiabile al punto tale da lanciare Rob, come fu ai tempi di "Adam And Eve", in giro per le radio di mezza Europa.

Tracce del britpop più efficace e riuscito, dai migliori Verve ai primi Coldplay e Stereophonics, per le iniziali ballatone "My Name Is Love" ed "Oceans", mentre la seguente "The Night" è un chitarra e voce di matrice springsteeniana che, quando sale un po' d'accompagnamento, pare virare verso un folk epico-celtico: ve lo immaginate il vecchio Bruce col kilt?

Se la sua voce bassa, calda e trasognata risplende nella meravigliosa ballata autunnale "Intelligent People", che da sola varrebbe una discografia intera d'un melodico italiano, è pur vero che fino a lì Rob ha fatto un disco che nelle prime sei posizioni della tracklist vede sei ballads, ed è indubbio che alla splendida "Intelligent People" ci si arrivi quanto meno un po' logori.

Da lì in poi, senza strafare, il buon Rob alza un po' il ritmo, a cominciare dalla seguente "Handsome", gioiello caleidoscopisco di psichedelia e chitarre come quelle dei bei tempi andati. In "The Storm" riecheggia il grunge in un ritornello violento, grazie al cielo non scimmiottandolo, né volutamente né inconsapevolmente.

La parte finale del disco è emblematica: "Don't Change" è psichedelia dei maestri di Rob e di tantissimi altri, ovvero i Pink Floyd di "The Dark Side Of The Moon", cui questo brano somiglia non poco nell'incipit. Ma "Don't Change" è preceduta da "Bad Beauty", e se in precedenza sono stati omaggiati i maestri di Rob, qui è doveroso menzionare i suoi "allievi" (ai tempi furono gli openers dei concerti dei C.W.) Radiohead di "Exit Music".

La conclusiva "Towering And Flowering" è, invece, un omaggio al proprio, di passato, e cioè ai Catherine Wheel, allo shoegaze, stile di cui furono alfieri agli esordi della loro carriera e col quale incisero due magnifici (anche se non troppo conclamati) lavori. "Towering And Flowering" ha persino il pregio, complessa per com'è e per come dovrebbe essere lo shoegaze-indie, d'avere uno dei ritornelli più efficaci di tutto il disco.

Voti alti, anche se l'opera non è originalissima, anche se gli stili non sono nuovi, anche se Dickinson batte sentieri non inesplorati, anche se sarà facile per qualcuno classificare questo disco quale "britpop" nonostante la varietà al suo interno, come se tutto ciò che non suoni al passo coi gusti odierni fosse roba vecchia ed imbottata per anni. Ed invece questo è il vino novello d'una terra antica.

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