Io nacqui nella prateria dove il vento soffiava liberamente e dove non c'era nulla a bloccare la luce del sole. Io nacqui dove non c'erano recinti e dove ogni cosa respirava liberamente. Io voglio morire là, e non dentro questi muri. ” Dieci Orsi, Comanche Yamparika
Che effetto fa stare seduti sul bordo del Grand Canyon ad ascoltare il vento, ad occhi chiusi? Solo il vento?
Tutto è iniziato con un viaggio alla scoperta dei miei miti americani, statunitensi per la precisione. I miei miti sono quelli della frontiera americana e mi dirigo nel cuore di questa strana patria. Il Nevada. Voglio vedere con i miei occhi quella enorme fessura larga 30 km e profonda più di 1 Km nel cui fondo scorre il fiume Colorado. Arrivo con uno sgangherato e perigliosissimo arereo da turismo di quelli con le eliche in cui si tocca la testa sul soffitto e si sta in dodici passeggeri. Il rumore è talmente forte che ti fanno indossare le cuffie con una stolida musica country per distrarti. Finalmente a terra. Finora ho visto solo distese di boschi e terre rosse. Scendo dall’aereo, e vengo investito da un’aria fresca, profumata di abeti e leggermente frizzante. Nel rifugio di legno che mi danno, in mezzo ai boschi, tra scoiattoli neri dalla lunga coda turchina e bassi abeti scuri, ascolto il silenzio immenso di questi posti. L’indomani si va al Canyon. Arrivo al balcone panoramico, un po' scettico, e su questo infinito strapiombo trattengo il respiro. “E’ troppo bello” penso stupidamente tra me. E’ una voragine immensa, pennellata dal sole al tramonto, di gialli, di arancioni, di rossi ed in fondo di marroni.
Passa un nativo americano e mi sorride, ricambio. Una fitta al cuore. Loro vivono qui da sempre. Sono stranamente scosso. La sera vado a farmi una birra in un locale. Entro, il fumo smorza le figure, risate echeggiano tra le pareti di legno. C’ è gente al balcone con boccali pieni, uomini e donne che giocano a biliardo. Mi rendo conto che sono tutti “indiani” , volgarmente chiamati. Io sono l’ unico straniero. Mi sento in imbarazzo e fuori luogo. “Sarà pericoloso” mi chiedo? E davanti ai miei occhi passano veloci decine di film western con feroci pellerossa a cavallo e scalpi di uomini bianchi. Terrore e morte portate dagli indiani. “Cazzo, non mi ricordo chi erano i “cattivi” , i Sioux? Come si chiamavano?” Un uomo robusto, sulla quarantina, si avvicina accigliato… mi irrigidisco. Sembra mettersi male. Forse sono Apache, forse sono loro i cattivi. Ma l’uomo vicino a me sorride e mi invita a giocare con loro. Una ragazza dagli occhi verdi e dalla pelle d’ebano ride della mia incapacità al gioco, si scherza, ci si ubriaca. Ed io, quella sera, al ritorno nella mia camera, nel silenzio di quei boschi che tramortisce l’ anima, ho compreso tutta l’immensa stupidità e cattiveria dell’ uomo bianco. Come se quel cielo nero volesse venir giù a schiacciarmi, come se milioni di occhi mi osservassero disperati tra gli aghi degli abeti. L'avidità, la superbia che fa invadere luoghi, distruggere e sottomettere le persone. Le loro culture. Tutto. Uccisi, torturati, scacciati, annientati. Quasi mi vengono le lacrime pensandomi bambino, davanti alla tv, a parteggiare per i “coraggiosissimi” soldati confederati nei vecchi film hollywoodiani in bianco e nero. Con i loro cavalli, i loro vessilli, le loro trombe che suonavano sciocche cariche.
Oggi i nativi americani vivono dei sussidi. Segregati in animalesche zone off-limits per i bianchi, in realtà piccoli e angusti recinti per loro. Gran parte degli indiani d’america si ubriacano, se non peggio, chiedendo l’elemosina. Gli altri cercano di integrarsi, ma è difficilissimo. Intanto, l’ uomo bianco continua nella sua opera di conquista e distruzione nel mondo. L’uomo bianco europeo prima ed, ora, il suo discendente, uomo bianco nord americano. Conquistare, assoggettare, distruggere, annichilire, sfruttare e diventare sempre più ricchi, egoisti e superbi.
Robbie Robertson, leader della gloriosa The Band, di discendenza irochese, decide ad un certo punto della sua vita che è giusto ricordare i Padri con un disco. L'occasione è un documentario sui nativi americani. E compone un capolavoro supportato dai migliori musicisti nativi. Per avere la giusta ispirazione si ritira per un po' tra i dimenticati "pellerossa" , ne ascolta i canti, le storie, i balli, ne assorbe l'armonia, la gioia, la disperazione ma soprattutto si fa cantore dell'orgoglio oramai perduto di questi grandi popoli. I veri Americani.
Sonorità elettriche, tribali, a tratti ambient, canti e suggestioni ancestrali. La prima canzone, "Coyote Dance", ci introduce in un mondo a noi alieno che dovremmo conoscere con delicatezza e sensibilità. Strumenti e canti antichi che come un vortice di sabbia ci avvolgono disperdendoci. "The Ghost Dance", la più conosciuta, scritta, cantata e suonata dallo stesso Robertson con arrangiamenti tipici, è una preghiera per la sopravvivenza del grande spirito pellerossa martoriato dall'uomo bianco. Si ispira all'atroce ed insensato massacro di 300 Sioux disarmati, per lo più donne e bambini a Wounden Knee, nel dicembre del 1890, per non avevano obbedito all'ordine del governo di bandire la Ghost Dance, il loro rito religioso. "The Vanishing Breed", una melodia memorabile, delicata, che vola leggera e sicura tra i deserti rossi e le aspre montagne rocciose come un'aquila, fiera ed imperturbabile. "Cherokee Morning Song" è una vera e propria “aria” che si apre e si distende sull'ascoltatore come un vento caldo delle praterie, il canto di ringraziamento per aver assistito ad un'altra alba.
E le altre canzoni che sono preghiere, lodi alla natura, lacrime amare o fieri canti guerrieri. Soli e ad occhi chiusi. Ascoltiamo. E più ascoltiamo e più ci chiediamo perché? Perché abbiamo questo istinto bestiale di distruzione? Questa sicurezza di essere il popolo migliore, più avanzato, più acculturato per azzerare delle persone, chiuderle in gabbie quando va bene, torturarle, non rispettare la loro essenza? Con la sicumera che il nostro Dio sia il migliore, il più giusto? Ieri nativi americani del Nord America; prima ancora, i popoli del Sud America e dell'Africa deportati come bestie per servire, da schiavi, il moderno uomo bianco. E, come una sequenza demoniaca, fino ai nostri giorni, i popoli più deboli, poveri e disgraziati che hanno la sventura di abitare in terre ricche di qualche materia prima. Come faremo mai a espiare tali colpe?
Il cerchio si chiude con una notizia di questi giorni: sembra che il nonno dell'attuale presidente degli USA, il senatore Prescott Bush, facente parte della famigerata società segreta “Skull and Bones” , rubò il teschio del mitico guerriero pellerossa Geronimo. Questo sostengono i discendenti Apaches. Vero o falso che sia, di sicuro hanno rubato loro l'anima.
“Se voi uomini bianchi non foste mai arrivati, questo paese sarebbe ancora com'era un tempo. Tutto avrebbe conservato la purezza originaria. Voi l'avete definito 'selvaggio', ma in realtà non lo era. Era libero. Gli animali non sono selvaggi; sono solamente liberi. Anche noi lo eravamo prima del vostro arrivo. Voi ci avete trattati come selvaggi, ci avete chiamati barbari, incivili. Ma noi, eravamo solo liberi!” Capo Leon Shenandoah, Onondaga
Carico i commenti... con calma