La figura di Robert De Niro mi ha sempre affascinato. Forse per il suo ghigno divertito e divertente, forse per le sue interpretazioni "malefiche" in pellicole quali Gli intoccabili e Taxi driver. Forse l'ho sempre amato per le sue straordinarie interpretazioni in film quali i due già citati e a cui si potrebbe aggiungere una lista abbastanza lunga anche se quelle di Toro scatenato, C'era una volta in America, Il padrino parte II, Cape fear, Mission, Quei bravi ragazzi, rimangono testimonianze dure a morire di uno dei più grandi attori di sempre della storia del cinema. Per questa mia grande curiosità nei suoi confronti ho deciso di procurarmi la sua prima opera da regista, quel "Bronx" del 1993 di cui tanto bene ho sentito parlare.

De Niro torna alle sue origini e ci racconta una vicenda ambientata in quei luoghi difficili dell'America nel quale egli stesso è nato e poi cresciuto prima di diventare quello per cui oggi è famoso. Lorenzo (Robert De Niro) è un autista di autobus che vive insieme a suo figlio Calogero (prima Francis Capra, poi Lillo Brancato) e a sua moglie Rosina (Kathrine Narducci). Essi vivono all'interno di un piccolo appartemento del Bronx, nelle difficoltà economiche dovute ad un solo lavoro nell'America che stava cambiando (film ambientato negli anni '60). A questi problemi di natura materiale si aggiungeranno poi quelli derivanti dal contatto di Calogero con Sonny, il boss del quartiere (interpretato da un ottimo Chazz Palminteri) che prenderà il bambino sotto la sua ala protettiva contro il volere di suo padre.

C'è un po' di nostalgia nel Bronx di De Niro. La voglia di sottolineare quelle situazioni comuni a diverse città degli Stati Uniti. Il vivere perennemente nella paura, sebbene poi il film ci dia un risvolto "mafioso" più ancorato alla semplicità che non di stampo violento simil "Quei bravi ragazzi" o "Scarface". C'è la voglia di raccontare la fragilità di un ragazzino nato e vissuto con la volontà di diventare "mafioso", criminale. La moda di quegli anni americani, dove c'era l'icona del boss con i soldi, le donne, il potere. L'idea romantica di poter governare con pugno fermo e tanti "sudditi" quei palazzoni in cemento dove all'interno viveva gente malfamata e in difficoltà. L'idea di poter dare e ricevere favori di ogni genere. In questo scenario trapela la tragicità sottile del film di De Niro, che attraverso gli occhi del piccolo Calogero ci mostra il complicato approcciarsi alla vita, la difficile constatazione della condizione precaria della propria famiglia. Figura fondamentale nel formare il bambino e donare i valori fondamentali è quella di Lorenzo, impersonato in maniera sublime dal buon Bob De Niro. Non è lui la figura centrale del film, ma quelle poche volte che interviene, dimostra di avere il compito più importante di tutti: più volte ripete a suo figlio la differenza tra lui e Sonny, la realizzazione nel sentirsi partecipi di qualcosa di reale quando si riesce a lavorare con fatica per portare su una famiglia, attraverso problemi e paura.
Ed ecco allora che la figura del piccolo Calogero diventa la metafora di un'esistenza vissuta all'ombra del "mito del benessere" ma perennemente offuscata dalla realtà, quella che si rispecchia nella figura di Lorenzo e non nei modi pur gentili di Sonny. Quella di Calogero è una parabola verso la verità, verso la scoperta dei valori fondamentali della vita, verso il riconoscimento dell'importanza del lavoro, della famiglia e dell'amore...


"Non c'è cosa peggiore nella vita del talento sprecato…"

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