Quando nel 1961 viene publicato "King Of The Delta Blues Singers", pochi intuiscono la portata di quelle registrazioni. John Hammond aveva dissotterrato la Stele di Rosetta del rock, ma sarebbe passata ancora una manciata di anni prima che ne venisse riconosciuto il vero valore, e altri ancora affinché qualcuno fosse stato in grado di poterla decifrare.
Nel corso degli anni sessanta l'ascesa di Robert Johnson non conosce sosta, eppure buona parte del suo catalogo è ancora reperibile soltanto su 78 giri. Nel 1970 la Columbia decide finalmente di pubblicare la restante parte di quelle registrazioni su un unico album, "King Of The Delta Blues Singers, volume II", ponendo rimedio al vero e proprio culto scatenatosi nel corso degli anni attorno alla sua figura. Vengono così stampati su vinile sedici blues (di cui tre inediti), che niente aggiungono e niente tolgono all'enorme influenza che Johnson ha esercitato sull'evoluzione del blues rurale e sulla nascita del rock.
La sua produzione musicale viene estesa così ad un totale di ventinove brani appena, ventinove registrazioni in cui è stata impressa a fuoco la profezia del rock e con essa la sua maledizione. Ventinove cantilene disperate in cui Johnson farnetica di un universo di solitudine e perdizione, in cui l'autostrada è il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Un confine talmente labile che una volta al crocicchio non è più possibile distinguere l'uno dall'altro; non è più possibile tornare indietro. È lì che Robert Johnson vende la sua anima al diavolo. È allora che riceve il talento in cambio della dannazione eterna.
Le sue sono litanie disperate, che fondono senza soluzione di continuità il mondo dei vivi, in cui a fare la differenza è il colore della pelle, e quello dei morti, in cui conta soltanto il colore dell'anima. Non esiste redenzione per Robert Johnson. Tutto è nero. Nella sua voce non c'è più speranza, ma soltanto rassegnazione, inquietudine, paura. I suoi testi sono osceni, violenti; sesso e demonio le ossessioni. I suoi sono blues spigolosi, claustrofobici, a volte disturbanti, in cui Johnson incarna per primo il suono dei futuri gruppi rock, affiancando all'uso intensivo ed evocativo della slide veri e propri pattern di basso sulle prime due corde e linee melodiche completamente avulse dal resto sulle altre, mentre piede e pollice dettano il tempo. Una soluzione chitarristica elaborata quanto impressionante, che trae più di una volta l'ascoltatore in inganno.
Quando il nome di Robert Johnson tornerà ad essere pronunciato dopo decenni di silenzio, la sua storia non tarderà a ripetersi, mietendo vittime illustri. Il suo esiguo corpus musicale costiturà un crocevia fondamentale da cui la storia del rock passerà per non tornare indietro mai più. La sua vita avvolta nel mistero alimenterà leggende e morbosità, e tanti musicisti pagheranno, direttamente o indirettamente, tributo al bluesman più innovativo dell'era pre-bellica. La sua inquietante presenza si avvertirà in una infinità di dischi a venire.
Se riconoscete alcune di queste copertine, Robert Johnson fa già parte del vostro patrimonio genetico senza che ve ne siate mai accorti. Se riconoscete queste copertine, "King Of The Delta Blues Singers" e "King Of The Delta Blues Singers, volume II" sono già i vostri album preferiti, solo non li avete ancora mai ascoltati.
Consiglio spassionato. A oggi è possibile reperire versioni rimasterizzate in cui il suono è stato riparato digitalmente e ripulito da rumori e fruscii. Evitatele come la peste.
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