Il dolore è qualcosa di reale, così lacerante e potente da scuotere le fondamenta dell'anima e riportare alla luce cose che è meglio lasciare sopite. Il Blues è la sua musica, suonata da anime disperate, da chi non desidera una carezza o un abbraccio, ma solo di poter raccontare il proprio tormento, scaricare su qualcuno quel fardello che gli piega le ossa e lo fa urlare nella notte.

Robert Johnson, il bluesman per eccellenza, nacque proprio cento anni fa, nel lontano 1911 a Hazlehurst (Stati Uniti), e questa raccolta mira, ancora una volta, a celebrarne la leggenda, ad incidere nuovamente su supporto ottico quelle immortali tracce che tanto hanno ispirato, ed ancora ispirano, artisti provenienti da ogni parte del mondo, i quali hanno trovato in quella voce strana e in quella chitarra incredibile una ispirazione o una via da perseguire, al fine di esprimere con la musica la loro vita e dar voce al proprio cuore. In fondo, cos'è che cerchiamo tutti? Un lavoro? L'amore? La sicurezza economica? Si, per carità, sono tutte cose importanti, ma alla fine, nel profondo, ognuno vuole solo essere ascoltato, non capito, perché il mistero che circonda un uomo è così insondabile da essere sconosciuto perfino a chi lo vive. E' difficile non sentirsi soli in un mondo che alcune volte o è troppo veloce per te oppure tu sei troppo avanti per lui, quindi scruti gli occhi di chi passa cercando una luce, uno scintillio che ti faccia esclamare: "Cavolo, finalmente qualcuno come me! Ora posso parlare, smettere di tacere!" Ma quella luce non sempre compare, anzi il più delle volte non scorgi niente, se non i flash dei tuoi pensieri ed allora ti convinci che è così che funziona, a nessuno interessa della tua storia e delle tue emozioni, puoi cercare e cercare ma alla fine il premio è solo un gran dolore alle gambe e quella stanchezza fisica che fa dormire, e speriamo sognare. C'è, però, un'altra via al raccontare, opposta ed altrettanto efficace: ascoltare. Non siamo le uniche anime vaganti, ce ne sono molte pronte a sciorinare le loro storie, quindi perché non ascoltarle? Perché non permettere che le loro parole attutiscano quei "cani infernali" che ogni giorno ti strappano brandelli di carne dalle ossa per poi lasciarti a terra solo e ferito? Non ci si deve caricare del dolore altrui, per carità basta ed avanza quello ci portiamo dietro, ma lo si può lasciar fluttuare, allo scopo di poterlo guardare e forse capire e combattere.

Ma è troppo difficile smettere di correre, vero? Finché si scappa i "cani" non possono morderci, o almeno così vogliamo credere, visto che, comunque vada, a fine giornata loro sono lì, affamati, e tu sei troppo stanco per combatterli, quindi li lasci liberi di banchettare, chiudendo gli occhi e pregando di dormire; il giorno dopo tutto ricomincia, gambe in spalla e via a perdifiato per le strade della città, già stanchi dopo un paio d'ore di fuga. Ma se desideriamo una pausa, perché non ci fermiamo? Perché se qualcuno ci offre il suo rifugio, corriamo ancora più forte? Forse nelle persone vediamo un riflesso di noi stessi, oppure siamo talmente diffidenti da scambiare una reggia per una grotta fredda e buia, o forse, più semplicemente, rallentare vuol dire accorciare troppo le distanze tra noi e i nostri "segugi" personali.

"Hey, ma non hai parlato dell'album!" Ah, è vero! Allora: ci sono due cd in un supporto di plastica, corredati da un bel libretto con foto e note esplicative. Se si mette uno dei due supporti ottici nel lettore si ascolta un uomo che suona una chitarra.

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