Certi miracoli a volte accadono, certo, vanno scovati col lanternino ma tant'è.
Tipo, nel 2022, in un autunno come tanti, esce al cinema "La stranezza", film diretto da Roberto Andò. E' uno che si è sempre mosso dignitosamente, tra film di buon livello ("Viva la libertà", 2013) e altri meno interessanti ("Le confessioni", 2016) e che appunto se ne esce con un film sul teatro, sulla realtà che diventa finzione e viceversa e con Toni Servillo, che già l'anno prima aveva interpretato un'opera il cui teatro era il motore del film, "Qui rido io", di Mario Martone, bellissimo, da recuperare. A coadiuvarlo Ficarra e Picone che, va detto, smessi i panni dei comici televisivi e dei loro filmetti pop-corn ad uso e consumo dell'incasso (anche se a a volte, vedi "L'ora legale", 2017, non disprezzabili) avevano già dimostrato doti d'attori in "Bàaria" (2009) di Peppuccio Tornatore.
In pratica, siamo in Sicilia nel 1920 e due cassamortari con velleità d'autori teatrali incrociano sulla loro strada Luigi Pirandello. Stop, la trama è questa, null'altro si puo' dire se non si vuole rovinare il film. Che è bellissimo, nel senso più completo del termine. In una Sicilia splendidamente fotografata da Maurizio Calvesi si muove un sottobosco di individui più o meno gretti, ognuno con degli scheletri nell'armadio da non far uscire (il pezzo grosso del Comune che intasca mazzette sulle sepolture e i loculi al cimitero; amanti sparsi e amorazzi mal tenuti nascosti), in cui il teatro e la poesia sembrano l'unica possibilità di scappare dallo squallore di una vita di provincia in cui si sogna Roma e ci si impiega un tempo eterno solo per arrivare a Catania.
Ma cos'è reale o cosa non lo è? Quali sono le famose maschere pirandelliane? Pirandello arrvò dopo i veristi, dopo che l'arte, il teatro, la pittura, avevano finalmente raccontato la realtà. Nell'Ottocento nascono i macchiaioli (in Toscana) che non potendone più di Madonne e bambini, Re Magi e annunciazioni, dipingono i paesaggi a loro familiari, i campi, la fatica degli uomini, gli aratri, i buoi. E' un Italia che si sta unendo ma che, almeno nell'arte, tende a regionalizzarsi in modo piuttosto deciso, ma una linea è comune: raccontare la verità. Fu Verga, come ci insegnano a scuola, il padre del verismo, ed è l'incontro tra Verga e Pirandello il momento migliore del film, perchè in un'opera che vuole essere indubbiamente commerciale l'aver inserito un momento intimo così profondo e, nello stesso tempo, semplice è un piccolo esempio di ciò che potrebbe essere il cinema italiano se solo volesse.
Pirandello: “Ho in mente una stranezza che è diventata quasi un’ossessione“. E Verga: “Tu hai messo una bomba sotto l’edificio che a fatica noi abbiamo costruito”. Chapeau.
Pirandello è interpretato da Servillo con grazia e acutezza, senza fronzoli o birignao, senza voler primeggiare ma lasciando, spesso, ai silenzi e agli sguardi il vero senso delle parole. A differenza di "Qui rido io" in cui l'interpretazione di Eduardo Scarpetta era volutamente sopra le righe (si veda il finale), qui Pirandello è un uomo straordinariamente solo, ossessionato dai suoi fantasmi, dai suoi ricordi e dai suoi personaggi (a cui dà udienza ogni domenica dalle 8 alle 13, ma ormai sono troppi, troppo esigenti e troppo pedanti), avviluppato nel non riuscire a comprendere la pazzia della moglie.
Eppure è un film comico, o meglio una commedia tragica, o una tragedia comica. Ficarra e Picone in scena sono una forza della natura, e alcune sequenze sono da antologia (la seduta spiritica o, meglio, la sera della prima) nonostante la necessità di raccontare una storia finta spacciandola per vera riduca le occasioni di divertimento puro, e cos' le gag classiche sono bandite a favore di una comicità che nasca più dal contesto che dagli sketch classici. Senza tormentoni (a parte uno, "scopo e sono felice") e con una voglia di andare al di là delle secche a cui ci ha abituato tanto cinema italiano comico degli ultimi anni, tanto che "La stranezza", a tratti, sembra un film scritto da Camilleri, o comunque, un qualcosa che al padre di Montalbano sarebbe piaciuto molto.
L'alto e il basso si mescolano in continuazione (l'ardimentosa dilettantistica di Ficarra e Picone e il genio di Pirandello), gli opposti si toccano (Servillo e Renato Carpentieri, vicino a caratteristi di minor importanza) e con un coraggio totale, come nel finale in cui per dieci minuti si mette in scena una parte di "Sei personaggi in cerca d'autore", opera complessa in cui nulla sembra vero e nulla sembra, al contempo, finto, e una citazione di Seneca ("Chi è?", "Uno che la sapiva longa"). Ecco, un film così, intelligente e spiritoso, incassò quasi 6 milioni di euro, e c'è da rallegrarsene, perchè forse, in fondo, non tutto è perduto.
Diciamo, i dettagli. In una Sicilia pre-ventennio più vera del vero (ma è finzione, please) la cura nei costumi e nelle scenografie è impressionante. Girato tra Erice, Palermo e Catania, "La stranezza" possiede una sottigliezza di racconto e fluidità di ritmo che meravigliano. Sul finale, con l'entrata in scena di Luigi Lo Cascio, il ritmo si fa volutamente monotono, l'ambientazione claustrofobica e il finale appeso pone questioni irrisolte che sono opera dell'ingegno di Pirandello e Roberto Andò.
Un film bellissimo, a cui forse difetta il continuo alternarsi tra dialetto e italiano (forse scriverlo tutto in siciliano sarebbe stato meglio) ma che non lascia l'amaro in bocca e dura troppo poco. Ora i nostri eroi, Ficarra e Picone, in compagnia di Servillo, pare ritornino in abiti garibaldini. Speriamo bene.
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