"Il grande sogno", ovvero come giudicare un disco dalla copertina e non sbagliare. Andrea Pazienza era, all'epoca, il più geniale fumettista italiano, e forse lo è tutt'ora, nonostante se ne sia andato tanti anni fa, considerando come il suo lavoro sia oggetto di culto e di studio, nonchè costante ispirazione per molti. Paz disegnava di tutto, anche copertine di dischi, col suo segno vulcanico inconfondibile, e nel 1984 si ritrovò a lavorare sulla sua quarta e purtroppo ultima copertina per Roberto Vecchioni, una copertina nella quale si mischiano fumetti di un improbabile Capitan Paper, donnone nere, pantere, libri, palme e televisori, tutti riuniti sotto un cielo giallo, probabilmente dei mari del sud, popolando il sogno, il grande sogno, del protagonista. Una copertina che ho sempre amato, e che ha sempre dato un valore aggiunto alla musica che custodiva all'interno. La musica, già. Di musica ce n'è tanta qui perché "Il grande sogno" è un album doppio, come doppia è anche la sua natura, parte canzoni nuove, parte pezzi vecchi riarrangiati e armonizzati col materiale nuovo. Pare quasi che Vecchioni abbia voluto con questo album fare un punto della sua carriera, riprendendo alcuni pezzi significativi del suo passato, attualizzandoli e riutilizzandoli a comporre un grande e ambizioso affresco dal quale ripartire coi progetti (e i sogni) futuri. Affresco popolato di personaggi letterari e non, da Arthur Rimbaud ("A.R.") a un moderno Ulisse ("Ulisse e l'America"), dagli indiani coi lunghi coltelli ai piemontesi all'assalto di Gaeta ("Dentro gli occhi") e ancora Laura, e il signor Giudice, la nera signora di Samarcanda e il Conte di "Pagando s'intende". Il mondo di Vecchioni d'altronde è questo, un mondo dove la parola è centrale, dove la vita quotidiana si confonde con la letteratura e il sogno con la realtà di cui è specchio e metafora, oltre che superamento.

Tutte le canzoni sono legate tra loro, con i nuovi arrangiamenti curati dal fidato Mauro Paoluzzi, e il risultato è parecchio omogeneo, tanto che chi non conoscesse la provenienza dei pezzi in questione potrebbe pensare trattarsi di un concept album ideato di sana pianta. Invece è una sorta di strano Best Of, una specie di ponte tra passato e futuro che a posteriori sembra ideale per dividere la discografia del Professore in due periodi, prima e dopo. E' un disco centrale questo, in molti sensi: è senz'altro il picco della produzione di Michelangelo Romano (poi il giocattolo comincerà a logorarsi), è con buona approssimazione centrale rispetto alla discografia vecchioniana numericamente parlando, è anche un ottimo punto di partenza per chi volesse avventurarsi per la prima volta fra la ormai ampia produzione del cantautore. E' anche, come si diceva, l'ultima copertina di Paz per Vecchioni, e anche questo a noi ex sbarbi ce lo fa amare non poco.

P.S. Le case discografiche (in particolare la CGD) hanno fatto negli anni casini inenarrabili con una parte della discografia di Vecchioni (vedi "Montecristo" che oggi si può reperire solo grazie alle duplicazioni di qualche anima pia) e qui in particolare in occasione della pubblicazione su CD hanno pensato bene di tagliare alcuni pezzi (!) salvo poi recuperarli (ma pensa te) sul CD del successivo "Bei Tempi". Il perché va francamente oltre la mia comprensione e non so nemmeno se le edizioni successive a cura della EMI abbiano posto rimedio a questo macello. Quindi se sul retro della copertina di cui sopra trovate elencate canzoni che poi non ci sono nel disco, sapete che non è né il vostro lettore ad essere difettoso né la vostra copia ad essere taroccata, ma sono i discografici ad essere delle bestie.

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