La solitudine ha un suono. Il battere del cuore. Un rintocco intollerabile riecheggiante nel vuoto presente all'interno come al di fuori di noi, che produce, ad ogni pulsazione, una fitta seguita da un brivido ghiacciato che tocca e risveglia di continuo i nervi scoperti più  dolorosi del nostro animo: la rabbia, la frustrazione, la commiserazione, ma soprattutto la paura; il terrore schiacciante e disumano che ci spinge a credere di essere intrappolati in una morsa devastante, destinata a non aver mai fine.

La penna della scrittrice fantasy Robin Hobb (secondo pseudonimo della statunitense Margaret Astrid Lindholm Ogden) ci parla appunto di questo: emarginazione, indifferenza, intolleranza, tutte rivolte ad un ragazzo, Fitz, nato dal rapporto illegittimo tra l'erede della casata reale dei Lungavista, scomparso dopo aver rinunciato alla successione, ed una donna sconosciuta del Regno delle Montagne, entrambi responsabili di aver trasmesso pericolosi tratti ereditari al figlio, da una parte benedetto dai poteri dell'"Arte", capacità dei sovrani di poter influenzare eventi ed avere coscienza dei pensieri altrui tramite la profonda concentrazione, dall'altra maledetto dallo "Spirito", una facoltà temuta e punita con la pena di morte, consistente nel saper comunicare con il mondo animale e fondersi con esso, rischiando però, in questo modo, di perdere la propria umanità.

Il giovane si ritrova quindi solo, in tempo di guerra, alla corte di Castelcervo, funestata dalle scorrerie dei misteriosi pirati delle Navi Rosse, senza nessun punto di riferimento se non il capo stalliere Burrich, un tempo amico e braccio destro del padre, ed il misterioso Umbra, assassino silenzioso che, per volere di Re Sagace, introdurrà l'orfano alle tecniche e ai segreti della sua oscura mansione.

L'ostilità del luogo in cui si ritrova incatenato s'incarna in ogni angolo del castello, nei commenti della servitù, nella sprezzante superiorità della cavalleria, nell'elusiva presenza del riflessivo principe Veritas, nel disprezzo del principe minore Regal, nell'odio e nel sadismo del maestro d'Arte Galen e nell'ambiguità del Matto, enigmatica figura che, sotto alle vesti da giullare, nasconde un'identità ed una natura mai del tutto rivelate.

Tra incertezze, intrighi, omicidi, promesse e speranze, si svolgerà la vita di un adolescente che, vedendo la propria esistenza già decisa e tracciata dalle linee del suo stesso sangue, si consumerà dall'indecisione tra rimanere fedele alla sua dinastia, rinunciando al libero arbitrio, o seguire il suo cuore, percorrendo una strada fosca e mutevole, ma innegabilmente libera.

Nonostante Robin abbia il brutto vizio di riuscire molto spesso a sorprendere, ingannando con doppi sensi, frasi non dette, segreti appena accennati, buttando sabbia negli occhi ad ogni minima occasione, sa anche quando è il momento di essere limpidi e precisi, descrivendo in modo sobrio ed elegante scene e situazioni, che assumono un'entità talmente concreta, da generare un'immedesimazione sbalorditiva fra il lettore e l'animo spaesato ed irrequieto di Fitz. Tramite la sua vista possiamo così orientarci in questa dettagliatissima ambientazione dal sapore medievale e percepire chiaramente una realtà che non attinge da antiche quanto improbabili leggende, ma affonda le sue radici nel folklore e nelle usanze di quell'epoca che, a dispetto della propria asprezza e crudeltà, continua ancora oggi ad affascinare e rapire le menti di migliaia di individui.

Non ci troviamo perciò di fronte ad un paesaggio occupato da demoni possenti, cavalieri leggendari, maghi dalla barba lunga, candidi elfi e quant'altro, ma siamo semplicemente immersi nelle preoccupazioni di un protagonista confuso ed inesperto, che cerca disperatamente un luogo di appartenenza, qualcuno di cui fidarsi, una spalla su cui potersi appoggiare per riuscire a raggiungere uno stato che tutti probabilmente vorremmo ottenere: Non essere soli.

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