In media tre o quattro volte all'anno faccio la mia apparizione in un noto negozio milanese di dischi e cd usati, un'ormai rara location che oltre a rilassarmi mette all'opera un istinto non dissimile dal mio approccio sessuale: il gestore conosce queste consuetudini e gentilmente provvede a fornirmi una scala e una confezione di salviette imbevute, condizione adatta a rivoltargli il negozio di sana pianta, in tempi relativamente brevi e con furia animalesca. Polvere di vinile fino ai gomiti.

Non disdegnando il supporto cd, in questo caso tutto il cerimoniale si riduce a un fruscio manuale nel massimo comfort, una via di mezzo tra la classica postazione d'ufficio e un sapiente blowjob da testa sul cuscino, possibilmente a occhi chiusi mentre tatto e gusto fanno il loro dovere. E cosi', levando ogni tanto qualche mutandina di cellophane da scoprirne l'interno, queste copertine invitano all'amplesso con riferimenti immediatamente codificati dal mio cervello, condotte alla cassa, e infilate nelle rispettive custodie in retrobottega, formando un mucchietto che spesso porto via a cifre irrisorie.

Impossibile quindi non prendere in considerazione un quartetto israeliano munito di un vintage gear irresistibile: Moog, Hammond e Mellotron, in aggiunta a shot fotografici dove spicca la classica sagoma di un Rickenbacker Bass e di una piu' sfuocata 12 corde dello stesso marchio. Quanto solletico al primo ascolto, quante risate strappate andando a pescare i miei punti deboli, quanto annusare con attenzione riascoltandolo, con gli highlights gia' belli pronti e lo stupore trasformato in certezza. Al terzo round non ho potuto che abbandonarmi a quel sublime meltin'pot multimascherato da far invidia al martedi' grasso veneziano, con tutto lo sfoggio degli orpelli nell'arcano gioco della seduzione.

Il disco meriterebbe un trackbytrack che vi risparmio ripiegando su ben altre osservazioni, in virtu' della totale assenza di info in italiano sulla band, finanche in rete.

Attivi fin dai primi '90 nella loro Tel Aviv, e concentrati inizialmente solo al mercato locale, incidono una manciata di album in ebraico prima della svolta a fine millennio, con un sound estremamente evoluto verso un Power Pop dai marcatissimi riferimenti all'indietro, a cui non resta che il passaggio del cantato all' inglese per acquisire un appeal internazionale. Tra il 2000 e il 2001 escono due studio album in rapida successione, Supermarket e One Fantastic Day, la cui limitata diffusione non nega loro la possibilita' di un minitour americano, rivelatosi un insperato successo al punto da tornare a casa con un contratto e relativa distribuzione planetaria.

Ed ecco che Another Beginning si racconta gia' dal titolo, non essendo altro che un condensato di Supermarket e di One Fantastic Day, con due inediti inseriti per l'occasione: un aiuto preziosissimo per calarsi in una dimensione Retro arriva sia dal tastierista aggiunto Noam Rapaport che dal collezionista di strumenti vintage Zohar Cohen, ben contento di imprestar loro il suo Mellotron 400 e addirittura un recente acquisto, un raro esemplare di MK II tutto nero, appartenuto a Richard Wright e utilizzato solo in studio per creare capolavori come Set The Controls.... e Sisyphus, inutilizzato per anni prima del restauro e successivo viaggio verso la nuova dimora mediorientale.

Il primo suono, appena premuto il play, e' proprio quella dissonanza di Mellotron String che introduce Government, col suo refrain vocale in piena tradizione Rubber Soul, senza lesinare ovattati mikes, jangles di Rickenbacker ed effetti di studio spruzzati sopra, dove non solo l'immaginazione dischiude un caleidoscopico rimando Proto Prog-Psych, ne vengono fuori anche gli autentici spettri di Simon Dupree & The Big Sound, The Gods, Zombies, Elmer Gantry's Velvet Opera, Art, Eyes Of Blue e in genere tutto quel Pop Psichedelico inglese rigorosamente d'annata 1967/68/69.

Retro si, ma per modo di dire: la band possiede un pazzesco dono compositivo da annientare il contemporaneo movimento BritPop come biglie di vetro contro maculati soldatini di plastica, tendendo la mano solo a un paio di esempi Made in USA, Jellyfish e Lilys, colpevoli solo di essere usciti in mezzo al delirio Grunge di una ventina d'anni fa. Perfino i migliori Byrds, quelli pre Gram Parsons, fanno capolino nella straordinaria Oranges, dal ritornello talmente contagioso con le sue urla in botta e risposta. Dove si cerca piu' atmosfera i capolavori sono assicurati, grazie ad armonie vocali da gettare Oasis e postumi Beady Eye, ma anche Coldplay, nella nera disperazione: President Of Me e Wild Animals sono i classici esempi del Too Good For The Masses, mentre Superman e' semplicemente uno dei pezzi piu' belli di inizio millennio, per quel che mi riguarda, armonie vocali, arrangiamento, tutto perfetto, e quel mellotron che si infila sempre al momento giusto... sono certo che il povero Rick Wright non avrebbe potuto che applaudire...il suo vecchio mostro finito in ottime mani!

Difficilmente mi e' partito l'entusiasmo nell'ultima dozzina d'anni di nuovi ascolti, ma sono contento di essere il primo idiota a trattare di questa meraviglia in Italia. La band nel frattempo e' viva e vegeta e in costante evoluzione, sul Tubo, nonostante le poche visualizzazioni, e' presente anche She's Full Of Fears, un vero Prog Masterpiece, segno di un'onnipotenza che ormai ha smesso di stupirmi. Anche in Israele stanno meglio di noi musicalmente.

 

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