Ancora una volta qui a celebrare il mio rincoglionimento totale, l'innegabile ammortamento delle mie cellule cerebrali, la sublimazione dell'arte dell'accontentarsi, tipica dell'età che avanza.

Bene, ciò premesso, parliamo del tipo, e del disco.

Su Rod Stewart tutto si può dire tranne che il suo passato "pop-rock" non sia degno di nota: una manciata di grandi dischi, un grandioso performer live e, soprattutto, una voce che tutto è tranne che banale o anonima.

Così come si può dire tutto tranne che il suo presente (così come il suo recente passato) non sia caratterizzato da un bel rilassamento voltato indietro, forse da un po' di paraculismo, ma sicuramente da grande professionalità, anche se molto Las Vegas.

Diventa difficile valutare col criterio dell'utilità, sempre che questo abbia un senso (probabilmente, salvando solo le opere "utili", ciascuno di noi ne salverebbe una manciata, e nessuno le stesse di un altro...). Difficile anche il paragone: tutti gli ultimi dischi sono di cover, dunque i confronti si pongono inevitabilmente con gli originali. Prima i tre dischi di classici jazz/swing, poi le classiche canzoni rock, e ora tocca al soul (inteso, peraltro, in senso assai lato).

Melodie straconosciute, che portano immediatamente al "canticchio" e subito dopo, inevitabilmente, al confronto con gli originali.

Ma il discorso applicabile, nel caso di Stewart, è a mio avviso avvicinabile a quello già fatto per personaggi come Joe Coker o Mina, ovvero per gli interpreti puri: il valore della cover come "atto d'amore", teoria senza la quale rischiamo di buttare alle ortiche una manciata di dischi stupendi, solo per la colpa di non essere "cantautorali"...

Dunque, a mio avviso, è solo su un campo che si gioca la partita: se queste interpretazioni dicono qualcosa di buono (magari anche "di più") o se siamo nel campo esclusivo del puro intrattenimento.

Ci sono stati casi nei quali il dubbio non mi ha mai neanche sfiorato: gli ultimi lavori "coveristici" di Robert Plant o di Paul Weller sono opere fondamentali, come a mio parere lo è il disco di Mina sulla musica di Modugno ("Sconcerto"), dischi dove l'atto d'amore si rende evidente in un'interpretazione personalissima ma non solo: anche nella concezione alternativa ma non "violentante" della partitura.

L'esempio principe, e storico, può essere la "With A Little Help From My Friend" di Coker. Voce, interpretazione e arrangiamento ne fanno un episodio unico, rispettoso ma sideralmente lontano dall'originale.

Qui rischia di esserci solo la sempre stupenda voce di Stewart a interpretare pagine bellissime e consociutissime del soul americano.

Non è forse quello che volevamo, ma non è neanche poco.

Si sente felicemente... che so ...cucinando o cenando, e a tratti si canticchia.

Disco per non giovanissimi, ma che potrebbe essere un buon viatico per conoscere una musica ormai lontana.

E comunque un mezzo per divertire, in senso alto ed etimologico.

Ripeto: non passerà alla storia, ma comunque non è poco.

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