Quattro anni di lavorazione, quaranta milioni di dollari di budget, 968,483.777 dollari di incasso (record mantenuto fino al 2013, battuto da "Frozen"), 4 nomination all'Oscar e 2 statuette vinte (miglior colonna sonora; miglior canzone, "Can you feel the love tonight). Possono tali numeri, imponenti, giustificare lo status di film Disney più amato di tutti i tempi?
Credo di no. Perchè "Il re leone", uscito negli Usa in sordina a metà giugno 1994, e poi in pompa magna in tutto il mondo a fine novembre dello stesso anno, è sicuramente un film importante, per certi versi storico, ma è anche pieno di difetti o pesantezze a mio avviso ingiustificabili. E di quegli anni, i '90, i cosidetti del Rinascimento Disney, ben altri film, prima e dopo questo, mi sembrano più riusciti e originali ("La bella e la bestia", "Aladdin", "Il gobbo di Notre-Dame", "Hercules"), eccezion fatta per quel passo falso, invero piuttosto macroscopico, di "Pocahontas".
"Il re leone" uscì un anno prima di "Toy Story", e non è un dato da poco. Perchè se il film della Pixar fu il primo interamente fatto al computer, per dirla alla buona, della storia, "Il re leone" in parte lo anticipò, tanto che John Lasseter disse di essere stato, ironicamente, beffato sul tempo. Perchè il film Disney utilizza per la prima volta massicciamente il computer rispetto all'animazione classica (computer già utilizzato in precedenti film, vedi "Aladdin", ma con maggior parsimonia) e lo studio dei disegnatori Disney sui movimenti degli animali, i leoni in particolare, fu talmente meticoloso che il risultato è effettivamente straordinario; i leoni si muovono in modo talmente naturale e talmente realistico che all'epoca il pubblico rimase, giustamente, a bocca aperta.
Alcune sequenze poi sono meravigliose. I primi cinque minuti, celeberrimi, con "Circle of life" in sottofondo e tutti gli animali che vanno a rendere omaggio al nascituro Simba sono eccezionali, ma tecnicamente ancora più straordinaria é la carica della mandria che travogle, e uccide, re Mufasa. Uno shock per chi era piccolo allora (il sottoscritto aveva 10 anni) equivalente allo sparo che mette fine alla vita di mamma Bambi.
Lode anche alle canzoni, forse un po' scontate ma efficaci, di Elton John e Tim Rice (che annovera alcuni classici, tra cui "Hakuna Matata" e la sopracitata "Circle of life") e ottima anche la colonna sonora di Hans Zimmer.
Però, c'è un pero'.
Al di là delle presunte polemiche su un plagio di un vecchio manga giapponese di Osamu Tesuka, "Kimba - Il leone bianco" (qui tutte le informazioni: Kimba - Il leone bianco - Wikipedia), quello che si osserva, o almeno si dovrebbe osservare, è che "Il re leone" pare una spremuta di precedenti film Disney e film non Disney in generale, shackerati tutti in un'ora e venticinque minuti. C'é "Bambi" (il rapporto tra Simba e la madre), c'è "Hakuna Matata" come espressione da dire per risolvere ogni situazione come già il Supercalifragilistichespiralidoso di "Mary Poppins", e poi via a citare Kurosawa, Sergio Leone, le iconografie naziste nel numero musicale "Sarò re", "Star Wars" e, su tutti, il povero Shakespeare perchè questo, che piaccia o meno, è l'Amleto fatto con gli animali antropomorfi. Onestamente, un po' troppe scopiazzature. Nessuna di queste, nemmeno nascosta, oltre alle auto-citazioni da "Aladdin" e "La bella e la bestia".
Narrativamente è sbilenco, nel senso che è diviso in due tronconi fin troppo evidenti, un pre e un post Mufasa. E gli interpreti principali, tolto Simba e Mufasa, sono scialbetti (la madre di Simba è in ombra dall'inizio alla fine, così come tutto il mondo delle leonesse, ai confini dell'impero, da questo punto di vista si direbbe, oggi, un film semi-machista) e sbaglia, completamente, l'uso dei personaggi di contorno. In ogni film Disney che si rispetti le spalle comiche sono l'acqua della vita, qui le gag sono affidate ai soli Timon e Pumba (un lemure e un facocero), divertenti, ma troppo tenuti ai margini, tanto che compaiono solo nel secondo tempo a film già bello che avviato. E anche il tentare di attualizzare alcune credenze popolari africane (rappresentate dalla scimmia-sciamano Rafiki), oltre che non essere adeguatamente approfondite, sembrano voler occhieggiare, senza successo, ad un pubblico adulto.
Ovviamente l'effetto nostalgia è dietro l'angolo. Se lo giudico con gli occhi del me decenne lo trovo un capolavoro (ma troverei un capolavoro anche "Holly e Benji" allora), se lo giudico con gli occhi di me, oggi, quarantenne, lo vedo come un film a tratti maestoso, storicamente importante, una pietra miliare dell'animazione tutta, ma pieno, zeppo di citazioni e rimandi ad altro che, colpevolmente, appesantiscono il tutto.
Hakuna Matata a tutti.
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