Prima di tutto la storia. A quel tempo Roger McGuinn era uno dei musicisti delle celeberrima Rolling Thunder Revue al servizio di Bob Dylan. Dentro a quella compagine vi erano molti titolatissimi nomi della scena coeva. Da quella peraltro ben documentata esperienza nasce il sodalizio che porterà a questo disco. Sodalizio col batterista Howie Wyeth, col virtuoso di violino, mandolino e pedal steele nonché chitarrista David Mansfield ma soprattutto col braccio destro e muscoloso di David Bowie, il famoso Mick Ronson, che per l'occasione fa anche da produttore. McGuinn cerca nuova linfa vitale per uscire dalla monotonia dell'american rock music, uno stile che va annacquandosi verso lo scialbo: il surf rock diventa yacht rock, la psichedelica va scomparendo, il folk è semplice pop rock da classifica.

Si disse più volte, ed anche questo Sito riporta in una recensione illustre per recensore e recensito, che il glam degli esordi altro non era infondo che una rivisitazione del folk. Bastino a ciò gli ascolti del primo disco di Marc Bolan o dello stardustian Bowie. Qui ci ritroviamo con un folk singer che oggi fa l'archeologo musicale e con un glam rocker come ce ne sono stati pochi. Ovvio che assieme facciano faville. Ma dov'è che si può leggere del glam che nasceva dal folk? La recensione è del disco più famoso di quello che fu il  pazzo tra i pazzi di quell'intera generazione, ovvero "Outrageous" di Kim Fowley, guarda caso uno che contribuì alla causa McGuinniana negli ultimi dischi dei Byrds scrivendo, insieme all'amico bassista Skip Battin, diversi brani country.

Mick Ronson corrobora alla grande un McGuinn in piena forma, e quasi ci si stupisce per come funzioni bene l'accoppiata. La chitarra boogie-glam si addice alla perfezione al surf dell'iniziale "Take Me Away" ed asseconda tutto l'estro di McGuinn in "Partners In Crime", ricca di variazioni e cambi di ritmo. Assieme rendono  "Up To Me", rock made in Duluth, meno saltellante dietro ai singhiozzi di Dylan e ben più fluida. E se il glam era folk, allora che dire della finale "Dreamland", componimento di Joni Mitchell? Tutto questo "Cardiff Rose" sembra un folk rock per ragazzini, un glam rock per adulti. Sembra qualcosa che al capolavoro non ci arriva per poco ma che è senza dubbio ampiamente meritevole di essere approfondito di lì a breve con altri lavori, atti al perfezionamento dello stile.

Si disse anche che il glam fu uno dei pochi generi musicali ad essere apprezzato dal primo punk, ed a tal fine pare emblematica "Rock And Roll Time", tra l'altro co-firmata da Kris Kristofferson, un gradevole brano rock senza fronzoli, dove perfino la sempre un po' lamentosa voce di McGuinn sa di punk strafottente e slabbrato.

C'è dunque tutta una serie di elementi che, cercati o involontari, rendono "Cardiff Rose" un lavoro senz'altro superiore ai precedenti lavori solisti, ma non è ancora tutto. Sappiamo che McGuinn ha il gusto del riarrangiare traditionals, e che in pratica fu il primo a riadattare in chiave rock un brano medievale. Ecco che la sua matrice folk ed il suo jingle jangle si mettono al servizio dell'epicità da romanzo cappa e spada in "Round Table", e c'è ancora di più: Roger compone "Jolly Roger", autentico canto piratesco da taverna... Insomma, Roger non si limita a riproporre ciò che è stato, ma si cimenta in prima linea anche nella scrittura.

"Cardiff Rose" è un disco sugoso e pieno di spunti, venuto su bene e finalmente uscito da quell'impasto sonoro westcoastiano che spesso è preparato da grandiosi musicisti ma che altrettanto spesso, se non c'è la voglia d'osare, rischia di divenire una sbobba senza un sapore ben definito. Dietro a questa novità musicale c'è comunque il ritorno ad alti livelli di scrittura di Roger McGuinn, uno che non sempre ama prendersi appieno la responsabilità di quello che canta. Il lavoro più variegato e coraggioso del buon Roger solista, anzi forse di tutto il McGuinn anni settanta, con o senza i Byrds, non so se il migliore di tutta unacarriera perché è giusto confrontarlo con "Back From Rio" del 1990 ma sicuramente quello dal punto di vista sonoro meno ricollegabile al suo sound. Merito di Ronson e della voglia di rimettersi in discussione, chiaro spunto preso copiando l'esempio del maestro Dylan il quale fece convivere sul palco i due chitarristi per avere e la continuità e la discontinuità.

Ronson e McGuinn, ovvero gli stivali con i lustrini e le zeppe e quelli con gli intarsi e gli speroni. Apparentemente improponibile, ed anche per questo bello.

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