Musica.

Armonia, leggerezza d'animo, freschezza organica, paradiso delle membra, eterno soffio di pace, umana primavera spirituale.

Può un assolo di pianoforte scongiurare il dominio di Hiroshima e Nagasaki? Sono in grado Chopin, Beethoven, Brahms di evitare le malefiche sinfonie del granatiere e della mitragliatrice imperante?

Wladyslaw Szpilman ce l'ha fatta. L'ebreo che, per sei lunghissimi anni, ha barattato l'arte con la fame, la creatività con la morte, l'estro con l'esilio. Dal piano bar di un lussuoso ristorante in Varsavia, capitale polacca, è migrato verso la fatiscenza del ghetto, degradante ammasso di omini ricondotti a bestie primordiali. Celati dietro una muraglia ed un tram assordante, forzati ad improvvisarsi danzatori per gli spettacoli circensi dei sedicenti arbitri della pace, giunti a leccare disgustosamente rivoli di minestra in scatola rovesciatasi sul nero asfalto.

Quella Polonia, disegnata nei minimi particolari da architetti (semi) provetti made in Versailles vent'anni prima, non esiste più: il Terzo Impero e l'Unione dei Soviet se la sono spartita, come belve sull'antilope indifesa. L'olezzo del sangue, della polvere da sparo, la melma fatiscente calpestata dagli stivali delle SS, invadono la pittoresca Varsavia, gli eleganti palazzi gotico - barocchi iniziano a sbriciolarsi.

Wladyslaw e famiglia non demordono, Thanatos sembra ignorarli, ma neanche la Vita allunga loro un sincero sorriso; dalla finestra, il truce, notturno show nibelungico di un vecchio infermo gettato con forza da un balcone, i suoi parenti, in fuga, fucilati senza requiem. Questo, dopotutto, rappresenta l'unico spettacolo offerto dal conflitto, totalmente gratuito per i soli sopravvissuti. Che, a poco a poco, si ritrovano su un carro merci verso lo sterminio incondizionato.

Il treno non accoglie Il Pianista, egli rimane solo, in una stazione semideserta. Il ghetto, autentico cimitero, si è svuotato, Varsavia si è spaventosamente ridimensionata, inquietante Far West europea; Wladyslaw vaga in lacrime senza una meta: nomade, per anni, nella sua stessa città, come il gatto randagio, il ratto di fogna, che cercano rifugio, esiliato dai suoi affetti, immerso nella catastrofe dell'odio. Razzola nel fango, è martorizzato da coloro che promettono pace e ricchezza con il frustino. Nel bel mezzo di un cantiere, osserva le aquile stagliate nel cielo plumbeo, sciame rombante di bombardieri alleati. La speranza lotta con la realtà, il match si prolunga ulteriormente. Sulla terraferma, cadaveri, miseri sacchi di patate, baracche, blatte e parassiti.

Si aprono e si schiudono nuovi appartamenti: gente cordiale, clemente, umana che accoglie il derelitto, che salva l'indifeso,catapultato ora nella Varsavia contraltare del micidiale scontro Nazismo - Soviet. Se qualcosa era rimasto in piedi, ora arde diabolicamente: si decompone una mummia già trafitta nell'intimo del suo popolo da efferrati ant-eroi venuti dal "democratico" occidente.

Wladyslaw rimane, tuttavia, Il Pianista: il viso è terribilmente ispido, gli abiti lacerati, i capelli lunghi e sudici, ma le dita delle mani mimano Chopin, tastano, all'ombra di un muro divelto, un pianoforte immaginario. Delirio, sì, ma luce residua, ancora rifulgente, della memoria: è la giusta inefficienza del fucile e della dinamite, attuali Domini.

Ich war ein Pianist.

Pochi minuti, l'armonia di un pianoforte che commuove l'Ufficiale tedesco e salva l'ebreo dalle mani d'oro. Spari che placano la loro furia mortifera. Solo loro, comunque, riescono a tacere adesso. Forse troppo tardi.

Resuscitata melodia che torna ad allietare spirito e carne, ma che non dimentica di essere stata rimpiazzata dall'assordante cannone delle disarmoniche Armate rosse e nere.

Purtroppo per la storia dell'Uomo quest'ultime rappresentano la fonte sonora dominante. La sua playlist preferita nei secoli dei secoli. E pare che neanche nell'era della sedicente democrazia e degli equilibri internazionali il lettore multimediale dell'Homo Sapiens abbia subito qualche lieve modifica alla sua normale riproduzione.

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