Domenica pomeriggio, luglio. Praticamente impossibile trovare qualcosa di decente in tv; invece facendo zapping mi imbatto in facce ben note. Sono quelle di un giovane Kevin Bacon e di Fred Ward, il film è inconfondibile, per chi come me l’ha visto e rivisto ad libitum da bambino negli anni ’90: Tremors. Ecco allora l’occasione per rivedere una pellicola a cui mi sono appassionato molti anni fa e verificarne vent’anni dopo la qualità.

Dopo pochi minuti mi imbatto nella sequenza della coppia che sta costruendo la casa e dell’automobile che viene trascinata sottoterra. Una scena impeccabile, terrificante, che mi ha dato subito un’impressione molto positiva. Con il proseguo della visione ho trovato poi diverse altre conferme sull’efficacia di un film che in apparenza non ha pretese, ma è costruito con grande sagacia. Un b-movie impeccabile.

C’è innanzitutto un uso funzionale e molto efficace del turpiloquio e dell’ironia: «Figlio di una puttana stronza! Scusa il linguaggio». Dopo la scena più epica di tutte, la grande sparatoria in casa di Burt: «Sei capitato nel posto sbagliato, brutto figlio di puttana». Mentre se ne vanno sul carro trainato dal caterpillar: «Avevamo cibo per cinque anni […] un rifugio atomico. E sottoterra spuntano quei cazzo di mostri». Più tardi, Rhonda: «Corriamo come se avessimo il pepe al culo! Scusate il linguaggio», a riprova che il copione pur semplice ha delle filigrane ironiche niente male . Meraviglioso il finale, tra turpiloquio ironico e orrore trash: «Sai volare testa di cazzo?», col graboid che cade e si schianta sulle rocce, con grande profluvio di sangue arancione.

I due protagonisti, Val e Earl, sono un altro punto di forza: partono come individualisti e approfittatori, cercando di trarre profitto dalla situazione finché non diventa davvero grave. Il rapporto tra di loro è fatto di costanti punzecchiature e garantisce una certa leggerezza al film insieme all’ironia generale. Ma il loro essere in costante competizione vira, dall’iniziale egoismo, ad un progressivo eroismo e protagonismo, per dimostrare di essere in grado di salvare la pur ridotta popolazione di Perfection. E finisce per diventare pura solidarietà, con l’acuirsi del pericolo. Earl alla fine smette di fare il cinico e con sguardo quasi commosso confessa il suo attaccamento alla vita. Val è invaso da una lucida follia che lo porta a congegnare il piano finale.

Anche gli altri personaggi, che possono essere valutati sommariamente come stereotipati, hanno un loro perché. Ad esempio la coppia di guerrafondai composta da Burt e dalla moglie è divertente perché in realtà parodia degli americani medi armati fino ai denti. Il ragazzino rimasto orfano non viene coccolato troppo, anzi è spesso oggetto di battute da parte degli adulti o anche irrisioni da parte del regista (quando un graboid esplode e lo ricopre di budella). Verso la fine, quando il pericolo dovrebbe farli solidarizzare, Val e Burt al contrario litigano per la leadership e non se le mandano a dire.

L’alternanza tra toni drammatici e scanzonati è il tratto essenziale dell’opera, che anche grazie a un montaggio molto asciutto, garantisce un ritmo davvero alto. Di fatto Tremors scorre via in un attimo, senza momenti di stanchezza o passaggi inutili. Il ritmo è tale che le morti vengono metabolizzate rapidamente, ma senza per questo renderle ininfluenti o leggere. Ci si dispera, ma per pochi istanti.

La trovata a fondamento del film è ovviamente geniale e non c’è bisogno di ricordarlo. Da sottolineare invece l’intelligenza nella costruzione delle dinamiche action, che pur basandosi su poche regole fondamentali variano progressivamente lungo il film. Insomma, la stessa strategia non funziona due volte con i graboid. Ed è questa varietà che garantisce al film una freschezza altrimenti impensabile: i limiti degli umani e dei mostri vengono continuamente superati, evitati grazie a strategie sempre nuove, astuzie diverse oppure uso soverchiante della forza. Lo schema della narrazione scorre allora con grande fluidità, perché non ripete mai se stesso.

Questo è possibile grazie a scelte situazionali opportunamente calibrate: un paesino isolato del Nevada, pochi abitanti, una situazione geografica che impone di attraversare ampi spazi in cui i graboid sguazzano, l’impossibilità di comunicare. Il congegno narrativo è degno di un grande film, perché con pochi elementi costruisce 90 minuti intensi di peripezie.

Insomma, Tremors è da considerare a pieno titolo un cult. Anche perché ad oggi un cinema di questo tipo appare decisamente irrealizzabile e lontano: un cinema a basso costo, sporco e scorretto nel linguaggio, autenticamente polveroso. Meravigliosi in questo senso anche gli effetti speciali: niente computer grafica, ma splendidi animatronics che replicano i movimenti delle lingue-serpente così come quelli delle mostruose teste che spuntano dal terreno. Si percepisce che i mostri sono reali e l’effetto è di grande impatto. Il sangue melmoso, la bava, la carne putrescente, le carcasse: tutto appare incredibilmente reale.

7.5/10

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