Io credo in una cosa folle. In una cosa astrusa. Il giorno in cui Bukowski ha ingravidato la poesia, doveva essere lo stesso giorno in cui, per una predestinata congiunzione astrale, cinque donne in Australia venivano messe incinta senza idea alcuna che la loro copula avrebbe dato vita a ciò di cui mi sto per occupare. Che, in fondo, è ciò che mi ha occupato la vita. Se dei vostri perché non c'è rimasto neanche il punto interrogativo, se la vita è l'ultima cosa da perdere che vi è rimasta, se vi fareste la più racchia della terra perché lo fa meglio e non la più figa perché è un palo di legno, se per voi è meglio un giorno da clochard che cento da borghese, se in voi la curiosità la generano i reietti e non i perfetti, bene. Anzi, male. Perché vuol dire che siete arrivati al punto che i Rose Tattoo fanno per voi.

Una esegesi della band - avete capito proprio bene - sembrerebbe inopportuna e pretestuosa, ma chi pensa questo è una persona a cui la vita è andata bene, è un universitario coi soldi di papà in tasca che magari per un anno di fila si è imbottito di pasticche e alcol e crede di essere diventato la peggiore mappina della situazione, è un appassionato del rock che ammira la forma, è un critico d'arte che non conosce Giotto. I Rose Tattoo sono da analisi semiotica pura: un significante così sbomballato di significati da sgretolare l'ideogramma cinese che se sbagli l'accento gli occhi a mandorla capiscono fischi per fiaschi. E di fiaschi impagliati i 5 sbandati tatuati ne avranno ciucciati tantissimi, alla salute del rock n'roll.

Vediamo un po'. L'estetica della band farebbe rabbrividire tutti, e quei pochi a cui risulterebbe gradita, sono quei pochi che ti direbbero nell'orecchio "vieni vieni che ti faccio conoscere dei grandi, certo sfigati, ma grandi". Puah. A suonare ci sono quattro energumeni divisi tra le tipologie: avanzo di galera fracico, maori obeso, crucco cotonato, britannico puzzolente. Alla voce tutto, meno quello che potrebbe incarnare il corpo di un frontman: Angry Anderson, il nano calvo. In teoria una presenza scenica da svuotare le sale. In pratica, io esegeta, vi dico che il rock bistrattato è tutto qui, in questa apparenza che coincide con la sostanza. I Rose Tattoo sono quello che vedete, niente più, niente meno. Sono cinque orsacchiotti sgarrati le cui cuoia potrebbero essere utilizzate per tappezzare pareti di case kitch. Tutto qui. Il rock è grezzo, quello oggi va di moda è il contrario del rock.

Anche ciò che i Rose Tattoo dicono è molto semplice e diretto. "I don't need lots of people, tellin' me what to do. I don't need a long haired lady, to love me true as true. All I need is a rock n'roll band, somewhere new to play. And I'm on my way, I'm on my way. I'm a rock n'roll outlaw and I'm on the run. I'm a rock n'roll outlaw I never needed anyone.". Dal Vangelo secondo la rosa tatuata, versetti 1-4, passo: "Rock n'Roll Outlaw". L'immediatezza di un songwriting che rinuncia ai barocchismi per parlare direttamente un linguaggio che piaceva e piace a tanti, ma che è scritto nel dna di pochi, è pari a quel compitino in classe del compagno che scriveva senza virtuosismi ma diceva fottute verità. E tu lì a chiederti perché, sebbene avessi scritto la parola "idiosincrasia", avessi preso meno di lui. Perché lui è vero, è la disarmante verità, è un modo di vivere sceso in terra e fattosi verbo. Ma è furbo, perché il rock è furbo. Lui è riuscito a sfuggire alla crocifissione preferendo quella che potrebbe sembrare una vile fuga mentre invece è solo un assestarsi sui marciapiedi che gli competono e che raccontano amare verità, voglia di riscatto, storie di zoccole, martiri e picari.

Siamo quindi arrivati al punto. Se state cercando di capire dove il rock prostituto sia nato, non dovete andare in California ma nella terra dei canguri. Se state cercando l'anagrafica di questa poesia dei poveri, dovete andare negli archivi della Albert Productions e non guardare nel faldone 80. Io il percorso lo conosco. Scaffale seventies, faldone 1978, sottocartella Rose Tattoo. È lì che troverete il disco d'esordio della band, omonimo anche di rock stradaiolo.

La musica. Un hard rock lercio e salivoso, amalgamato con una sputazzata di boogie. È tutto semplice perché è tutto radicale, roots. Con Rose Tattoo, venduto in Europa a partire dal 1982 con il titolo di Rock N' Roll Outlaw, avrete l'impressione di trovarvi tra le mani la carta costituzionale del rock marcio. I testi, liberi da qualsiasi legame con la teorizzazione borghese, sembrano precetti e norme. Parole che ti indicano come vivere, cosa bere, dove andare, quando scopare, perché fare una scelta e non un'altra. Altro che non c'è più religione. C'è eccome. La musica non conosce appigli con niente. È un rock n'roll da battaglia che indica la strada a quelli che poi, negli 80, hanno deciso di percorrerla fino in fondo. Figuratevi se gente che non ha trovato nel vocabolario la parola compromessi anche di fronte alle donne, la tirava proprio fuori nel suo operato. E infatti, nella loro musica non ci sono note stonate. I compromessi stanno a zero. Come le nazioni hanno un inno, anche il rock ne ha uno, e non scherzo.

La già citata "Rock n'Roll Outlaw" (Il fuorilegge del rock n'roll) è il manifesto, il testamento che il genere ha lasciato a quelli che non hanno potuto vivere l'ondata. Questa è poesia, perché la metrica elementare e da ragioniere, è comunque precisa e piazza piloni a sostegno di grandi concetti. Potrei parlarvi di tutte le altre songs ma il modello è quello. Musica da sbronza, da alcol che diventa sudore fetido, da predicatori nel deserto, da scopata a casaccio. Poi ti svegli e non hai il tempo di pentirti perché sei già imbevuto nei liquidi di cui non ti importa del sapore, ma solo del volume di sballo. "Remedy", "The Butcher & Fast Eddie", "Astra Wally". Sono tutti pezzi dal valore simbolico inestimabile. "Nice Boys", che i primissimi Guns N'Roses riproponevano ad inizio carriera nei live shows, è indicativo di come questa musica volesse essere esclusiva nei confronti della gente per bene. I ragazzi ordinati, precisi e figli di papà non fanno rock n'roll. È così che ciò che è apparentemente sconsigliabile e non frequentabile ai autoproclama divo anti. E non antidivo.

Questo disco ha spianato la strada agli anni 80 dello sleaze e del glam tosto. Gli AC/DC li hanno venerati. Per me, infatti, gli stanno tranquillamente sotto. Se ancora non gli avete dato una chance, quelli spacciati siete voi.

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