Superate le certezze del Rinascimento, la geometria razionalizzante delle linee di Brunelleschi, le forme che si facevano spazio di Piero della Francesca, l'arte italiana imboccò, nei primi decenni del ‘500, il difficile percorso della "maniera", e, dunque, di uno stile modernista, in cui le linee si facevano improvvisamente curve, convesse e concave, il colore non definiva più un canone ideale di comportamento ma le mutevoli ed umbratili emozioni, i soggetti venivano ritratti non più come astratti ed imperturbabili modelli fuori dal tempo, ma come uomini fatti di carne e di ossa, di emozioni e stati d'animo, riflessi nelle tinte delle loro vesti, negli incarnati dei loro visi, nel paesaggio o negli interni in cui venivano rappresentati.
Il cammino, già anticipato dal tardo Raffaello, o dal gigantismo del Michelangelo della Sistina, venne battuto con sicurezza da alcuni allievi di questi grandi pittori - primo fra tutti Giulio Romano - ma anche da figure atipiche, per certi versi spiazzanti, come Giovan Battista di Jacopo, noto come il Rosso Fiorentino (1495-1540).
La deposizione di Volterra è uno dei capolavori di questo misconosciuto artista - i cui putti ornano tuttavia le inconsapevoli cartelle o i quaderni dei liceali nostri contemporanei - che ben ci permette di dare un po' di concretezza alla premessa generale attorno allo stile della "maniera", e, soprattutto, attorno ai suoi pregi, ad onta del tono con cui, ancor oggi, si taccia un'espressione artistica di "manierismo": quasi a significare una tecnica sterile, stantia, ripetitiva, poco ispirata ed inutilmente complessa, non casualmente antitetica ad un precedente ipotetico modello classico o canonico.
Descriviamo sinteticamente la scena.
La pala d'altare è idealmente divisa, dalla croce, in quattro differenti quadranti, all'interno dei quali si muovono le figure di un dramma: Cristo non è colto nell'atto di trionfare sulla morte, ma è cadavere, individuato da un colore verde che quasi si confonde con il legno della croce; nella sua fissità egli è contrapposto al movimento degli uomini colti nell'atto di schiodarlo dagli assi della croce.
In basso a destra, Maria assume i medesimi colori del figlio, amplificando il messaggio di morte e cupa disperazione, e sembra quasi scomparire nelle sue vesti, mentre è sorretta da due donne e la Maddalena, in un rosso acceso che stride con i panneggi della Vergine, si dispera alle sue ginocchia.
In basso a sinistra, si staglia solitaria la disperazione dell'apostolo Giovanni, il cui volto, nascosto dalle vesti, mostra un dolore ellittico, assente come la vita in questo Cristo.
Notevole in questo dipinto, sia il mescolamento di linguaggi, che l'emozione suscitata nell'osservatore.
Sono gli oggetti materiali, qui la croce simbolo di morte, più che di resurrezione, a dividere lo spazio, secondo il modello rinascimentale. Eppure, si tratta di oggetti colti in una luce fredda, distante e distaccata. Manca ogni rinvio a modelli classici, il panorama stesso, alle spalle della croce, è buio, uniforme, privo di fughe prospettiche, si potrebbe dire claustrofobico.
Tutto ciò che non è oggetto viene definito più dal colore, che dalla tecnica pittorica o ritrattistica, o dalla precisione del disegno: ne deriva una ricerca dell'espressione, del tocco fugace in cui la macchia dipinta si fa forma, più che del rigore nel ritratto, tanto più che la maggioranza dei volti dei soggetti è colta di sbieco, se non nascosta o avvolta dai panneggi delle vesti.
Il ritmo impresso dal colore a questo quadro guida l'occhio di chi osserva, e lo spinge a considerazioni che travalicano l'arte, portandolo ad interrogarsi sul mistero della Fede.
Spesso, nel Cristianesimo, viene giustamente enfatizzata la speranza della Buona Novella, e la figura di Cristo, colta con gli occhi di chi crede, viene compiutamente assimilata, nel Mistero della Trinità, ad un Dio, che, oltre ad essere perfetto, è anche Amore, porta attraverso cui l'uomo può compiere appieno il proprio destino.
In questa dimensione, viene forse a mancare, nel fedele, la comprensione del mistero della morte, comune a tutti gli uomini, e comune alla stessa esperienza di Cristo. Quasi abbagliati dalla Fede, si sottovaluta quindi, in alcune occasioni, il dramma di chi non crede, e di chi vede, nella cessazione della vita terrena, la cessazione del tutto, il fine di ogni speranza.
Quadri come questo, con il loro Cristo terreo, con il dramma di Maria, della Maddalena e di Giovanni, muovono a compassione, e riecheggiano, forse cupi, un eterno memento mori, la necessità del buio, del silenzio e della solitudine del pianto come ineluttabile passaggio per giungere ad una più matura rivelazione dei significati possibili dell'esistenza.
Credo che in questo il dipinto del Rosso Fiorentino spicchi fra i capolavori dell'arte tutta, mettendo in movimento, oltre all'occhio di chi osserva, anche il suo intelletto ed il suo cuore, prescindendo dalle convinzioni religiose di ognuno e raggiungendo, in tal modo, un livello comunicativo universale, che solo il genio riesce, probabilmente, ad attingere.
Carico i commenti... con calma