"Ecce homo qui est faba".

Lo stereotipo dell'english man tout-court sembra non affievolirsi mai nel corso della storia: perfettino, rigoroso, aulico, presuntuoso, altezzoso, grave, bombetta in testa, tight e ombrello scuro alle mani. Sebbene l'evolversi della cultura e il travalicare degli usi e costumi nazionali verso un contesto più globalizzato abbiano reso meno statica tale realtà, la tendenza comune è, tuttavia, quella di appioppare all'Inglese le caratteristiche sopra menzionate. Dopotutto, stereotipare una realtà aliena dall'attuale in possesso è patrimonio morale di ciascheduno: birra, wurstel e abbigliamento alla bavarese per i tedeschi, corride, toreri e senoritas alla Spagna, pagode, gong e muraglie all'Estremo Oriente. E l'Italia come viene rappresentata dai più? Meglio lasciar perdere.

 

Mr. Bean è l'antitesi dell'inflessibile londinese. Quella che viene annoverata tra le migliori serie comiche degli ultimi decenni, rovescia in modo sopraffino lo stereotipo inglese, concependo un omuncolo mediocre, infantile, caparbio nel suo stile di vita, terribilmente sfaccendato e tonto, addirittura egoista e egocentrico, nondimeno così divertente e spassoso. Inutile cercare di trattenere risate e sorrisi a mezzaluna davanti alle sue scorribande e disavventure: Bean farà sbellicare lo spettatore più serio e incorruttibile.

Inserito pressoché in qualsiasi contesto, nello squallido appartamento in cui alloggia, durante le feste paesane, a scuola ed in chiesa, Bean riesce sempre ad adattarsi a modo suo, scatenando sentimenti di imbarazzo, perplessità e vergogna, persino di fastidio a chi, per sciagura, lo deve affiancare. Perennemente nei guai, è in grado di uscirne non sempre indenne, se non con trucchetti e stratagemmi da far invidia ad un bambino di dieci anni. Il nostro Mister è, difatti, il Peter Pan moderno: un modesto cittadino che si prodiga, anche involontariamente, di fuggire dalla monotonia e dalla noia contemporanea, che rifiuta di accedere allo scialbo mondo adulto, fatto di sofferenze, depressioni, apatia e tediosa iper - razionalità. Basta poco ed ecco che una grigia giornata può trasformarsi in qualcosa di divertente e spensierato, passioni che Bean incarna alla perfezione.

In "Mr. Bean nella Stanza 426", il maldestro inglesino si trova in vacanza: pervenuto all'albergo con la leggendaria Mini Morris verde oliva, inizia a far conoscere, soprattutto al vicino di camera, la sua innata irrazionalità. Entrato nella stanza, la trasforma e la ridisegna neanche fosse di sua proprietà: appende quadri, fora le pareti con un trapano al fine di accedere al bagno della camera accanto (la sua è sprovvista di servizi igienici privati), cambia le tende, accende e spegne la luce, balza, impazzito, sul letto. Successivamente, ingaggia una sorta di "sfida" non ricambiata con il citato dirimpettaio, arrivando persino a ingerire ostriche avariate. Il resto è pura comicità: Bean, in preda ai fumi del malore appena beccatosi, si denuda, per poi rimanere chiuso nel bel mezzo della notte, completamente come mamma l'ha fatto, fuori dalla sua stanza.

La peculiarità di Mr. Bean evidenziata nell'episodio è il bizzarro infantilismo che lo contraddistingue: come ai tempi della scuola o della partita a calcetto d'infanzia, l'omino è spronato a sfidare chiunque gli si pari accanto, senza comunque palesare direttamente queste irrisorie velleità. Bean duella e attacca gli impulsi razionali e rigorosi tipici dell'età adulta, imposti, per natura, nell'animo umano a fine adolescenza: il vincitore morale è, malgrado ciò, lo stesso Mister. Egli non maturerà in nessun caso, bambino è, bambino sarà; mai esisterà una qualunque realtà materiale o inconsistente atta a trasformarlo del tutto nel robot umanoide che trascorre la sua esistenza tra l'ufficio, lo snack bar della pausa pranzo e le ciabatte della sera.

E se noi, educati allo stressante rigore post-adolescenza, vivacizzassimo la nostra vita alla Mr. Bean?

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