I Royal Trux sono la più deflagrante creatura da sogno generata nel panorama musicale di fine millennio, il percorso allucinato di due splendidi mostriciattoli quali Jennifer Herrema e Neil Hagerty.

Un po' di storia, dunque.

Alla fine degli anni 80, archiviata l'esperienza con i Pussy Galore - il più estatico baccanale che possiate immaginare, una cialtronesca fucina di autentici geni votati alla scorporazione e alla tortura del rock, da cui non a caso nasceranno poi i progetti più interessanti dell'underground americano come Jon Spencer Blues Explosion, Chrome Cranks, Boss Hog, Free Kitten e Royal Trux appunto - Neil Hagerty incontra la Herrema appena sedicenne, sensuale musa, tossica e sfacciata con la quale decide di dare vita ad un nuovo, eccitante viaggio nei meandri del suono. Un viaggio psichico, stonato ed indotto da amplificatori valvolari, una scala a chiocciola fatta di marzapane e fogli di acido che scende ripidamente giù verso il paese delle meraviglie: il paese dell'ipnosi blues e della foia rock. Una sorta di rilettura radicale del rock'n'roll, così come radicali erano le chiavi armolodiche di Ornette Coleman nella reinterpretazione del jazz. Ed è da qui che parte l'idea dei Royal Trux - o meglio, l'indigenza quasi fisiologica - di rievocare quelle stesse, convenzionali, secolari forme del suono smantellandole e rimasticandole alla luce di nuovi approcci conoscitivi, disarmanti per la loro semplicità, magari superficiali ed effimeri poiché connessi ai bisogni più "bassi", come la televisione via cavo, le droghe, i cartoni animati, il sesso e le chitarre d'annata. Rielaborare tutti i più eccitanti percorsi sonori degli ultimi 50 anni con la precisa volontà di stratificare, filtrare e smantellare le maniere convenzionali della musica stessa. Ovvero, come guardare con riverenza ai padri -da Robert Johnson a Bob Dylan, poi Rolling Stones, Velvet Underground, Stooges etc... - e nello stesso momento burlarsi di loro, dichiarandoli morti e sepolti con una cerimonia cinicamente carnevalesca. Neil e Jennifer, sguardi vitrei, chini sul corpo esangue del Rock'n'Roll e decisamente intenzionati a cercare qualche dollaro nel suo portafoglio per poi darsela a gambe...

In questo senso la pubblicazione di Hand Of Glory assume un significato rilevante. Non un nuovo album vero e proprio -il duo si è sciolto poco dopo Pound For Pound, nel 2000- ma un assemblaggio di registrazioni ripescate e risalenti al 1989, momento in cui i Trux muovevano i primi passi, ancora ebbri dell'euforia schizoide dei Pussy Galore. In sostanza si tratta di outtakes da quel gioiello nero che è Twin Infinitives (1990) - uno dei dischi più impegnativi dei nostri, fermamente allacciato a quel percorso di destrutturazione compiuto da opere d'arte impossibili come Metal Machine Music di Lou Reed e Trout Mask Replica di Captain Beefheart - che dunque poco si scostano dalla bellezza urticante del loro referente. Due lunghe sezioni da circa 20' ciascuna che emettono (non vi preoccupate, non è il vostro stereo che è arrivato al capolinea!) frattali sonori in collisione impastati con scarni accordi da blues retrofuturista ("Domo Des Burros"), mantra ipnotici e coltri di chitarre acide, vivisezionate e modificate con apparecchiature scintillanti ed analogiche ("Boxing Story"). Un collasso di suoni apparentemente indigeribili ma che alla fine ripagano con l'affascinante consapevolezza di saper decifrare un linguaggio altro, alieno. La certezza di sentirsi languidamente vivi all'interno di nuove vie di percezione.

Una nuova, viscerale ossessione dal mondo Royal Trux.

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