"Tutto quello che la scienza può permettere sarà realizzato, anche se ciò modifica profondamente quello che oggi consideriamo come umano, o come auspicabile."

Michel Houellebecq

Non faccio per vantarmi, ma in questi casi mi approccio ad un film senza pregiudizi di sorta, e sostanzialmente sempre so a cosa vado incontro. Aspettavo questa versione hollywoodiana live-action di Ghost in the Shell con la consapevolezza che l'avrei apprezzata per quel che è. Perché nel caso di un film come questo l'aspettativa è tutto, così come la consapevolezza inoltre di dover lasciar perdere in partenza ogni paragone con le opere originali, siano queste il manga di Masamune Shirow o i film dell'enorme Mamoru Oshii.

E le mie aspettative erano quelle di un blockbuster puro, che non potesse, neanche volendo, raggiungere le vette d'intimismo e complessità delle opere nipponiche; è infatti chiaro fin da subito, ovvero fin da poco dopo l'inizio, come la componente visiva, estremamente spettacolare ed action sia sovrastante. E forse è giusto così.

Però attenzione, non è che il vedere su schermo un mondo distopico come questo, seppur non originale (ci mancherebbe, basti pensare a tutto il cyberpunk anni '80 ed alla fantascienza post-Blade Runner) non susciti in me sempre un qualcosa d'inquietante. Pur in un contesto d'intrattenimento, veder una umanità senza identità in cui la natura di chi si ha di fronte è totalmente non distinguibile, dove il "potenziamento" cibernetico è la norma più che la sperimentazione, mi porta alla mente la frase di cui sopra di Houellebecq (che si riferiva, nello specifico, all'argomento clonazione), ed a pensare che le visioni, talvolta paranoiche di Dick non è che non fossero molto di più (in parte questo è già stato riconosciuto). Specialmente in epoca dove l'intelligenza artificiale è sempre più realtà.

Ma lasciando perdere le speculazioni, il solo vedere all'azione il mio personale mito Beat Takeshi Kitano, nel ruolo di Aramaki, rubare col suo carisma spesso la scena anche alla stessa Scarlett (la cui presenza basta a bucare lo schermo a prescindere dal tipo di film a cui partecipa), col suo giapponese sottotitolato (a diversi anni alla prima volta in cui lo vidi puntarsi la pistola alla testa in Sonatine, o augurare in inglese buon natale a Lawrence/Tom Conti) vale il prezzo del biglietto e mi ha suscitato una personale emozione.

Ne esce infine, ad ogni modo, un elogio dell'umanità anche in tempo di robot sicuramente scontato, ed in ogni caso critiche e stroncature non mancano/mancheranno, ma personalmente esco dal cinema senza recriminazioni e sostanzialmente soddisfatto di un discreto spettacolo, durato, peraltro, solo 106' minuti scarsi che fanno il loro sporco lavoro. Poi chiaro, se e quando voglio l'impegno cerco altro. Ma credo che il disimpegno sia talvolta sottovalutato.

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