Finita presto e male l'avventura con la multinazionale Atlantic, che nel 1987 aveva investito massicciamente sul loro settimo album "Wildest Dreams" salvo buttare tutto a mare, visti gli insufficienti riscontri commerciali, i Saga provano a rinserrare le file e reagire alla delusione, facendo un passo indietro sia contrattualmente (si torna a lavorare per la canadese BonAire) che musicalmente: la componente progressive e il gusto per l'exploit strumentale fanno, seppur episodicamente, di nuovo parte degli arrangiamenti, meno appiattiti dunque verso complice semplicità e ruffiana accessibilità come era avvenuto nel precedente lavoro.

Basta sentire al proposito lo spettacolare inizio del disco "How Do I Look": uno strascicato prologo, rumoristico ed effettistico, viene di punto in bianco letteralmente squarciato da un tremendo riff chitarra/tastiera al fulmicotone. L'agilità di Ian Chricton sulle sei corde si dimostra più che mai a livello di pochi, mentre per quanto riguarda i sintetizzatori... ci pensa il sequencer! (il gruppo è infatti ancora limitato a trio, senza tastierista e con batterista esterno).

Registrare tutto andando dietro ad un metronomo a Los Angeles e poi portare i nastri a Monaco perché un batterista (Curt Cress) vi suoni sopra non è il modo giusto di fare del rock: viene a mancare il feeling di gruppo, l'interazione istantanea e spontanea fra gli esecutori, gli accenti e gli umori colti al volo e trasmessi ipso facto nell'esecuzione... La produzione del disco (accreditata agli stessi Saga, per la prima volta) si rivela quindi super fredda, a fronte dell'abituale, interessante vena compositiva e soprattutto esecutiva.

Le canzoni buone ci sono insomma, ma vengono abbastanza ammazzate dall'elettronica, nonché dall'ottuso Cress che procede a cannonate di rullante, secondo moda dell'epoca (gated reverb... quanti danni negli anni ottanta, prima di andare per sempre fuori moda!). Un paio di esse sono poi praticamente electro-funk, dai! Soprattutto "The Nineties", con tanto di cori femminili e voce di Michael Sadler artefatta, ritoccando la velocità del nastro per farla andare verso... uhm, Prince.

Non mancano anche un paio di pezzi lenti: l'ispirata semi-ballata "Starting All Over", con un elegantissimo e lirico ritornello, vertice del lavoro, e la meno indispensabile e più eterea "Odd Man Out", che vede Ian Chricton anche all'acustica. La scatenata "Shape" invece gode di un nodoso, grasso, trascinante riff di sintetizzatore e rimanda più di ogni altro episodio al mirabile passato prossimo della formazione, strumentalmente brillantissimo e pieno di personalità.

La canzone di uscita dall'album, "Giant", si avventura invece e con successo in lande jazz-funk, grazie al prominentissimo (e finto... nel senso che il bassista Jim Chricton vi pesta la tastiera di un synth) basso a là Level 42. Nei suoi abbondanti sette minuti di durata i Saga tornano a liberare compiutamente ciò che la loro indole comanda, dandosi ai serrati duetti chitarra/tastiere, agli stop&go, alle riprese vocali ed ai continui cambi d'atmosfera, il vero ambiente ideale per un gruppo nato per elaborare e raffinare la propria proposta musicale, senza ridursi se non episodicamente ad un paio di strofe e di ritornelli, più assolino centrale di otto battute. Il trio sta per comprenderlo nuovamente e con l'album seguente, tornato nella formazione storica a quintetto, farà di nuovo faville.

Splendida, creativa ed elegante la grafica dell'album (Throwing Shapes sta più o meno per Ombre Cinesi).

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