Con il settimo album i Saga hanno occasione di cavalcare appieno una grossa chance per entrare nel giro dei grandissimi: le buone vendite dei tre precedenti lavori in Europa e in Canada, nonché la disponibilità del gruppo a venire sempre maggiormente a patti con il successo (a costo di importanti defezioni interne, nella fattispecie tastierista e batterista) convincono il colosso discografico Atlantic a investire massicciamente su di loro.
L'obiettivo è di penetrare finalmente il mercato USA, rimasto assai freddo al richiamo della raffinata (troppo?), estrosa, strumentalmente eccellente proposta hard-pop-rock della formazione. Ragion per cui per le nuove registrazioni si va a Los Angeles, dall'esimio (e costoso) produttore Keith Olsen, il quale non fa mancare il suo tipico trattamento anche a queste musiche: massima pulizia di suono, massima definizione dei vari strumenti e delle voci, potenza ed eleganza a profusione a tutto scapito, però, di feeling e spontaneità.
Il trio superstite ha pronta la soluzione interna riguardo alla defezione del tastierista Jim Gilmour, dato che le mani su pianoforti e sintetizzatori le sanno mettere anche il cantante Michael Sadler ed il bassista Jim Crichton (ma non è la stessa cosa...). Per quanto riguarda il batterista, al posto del transfuga Steve Negus, eccezionale specialista del charleston e delle lunghissime rullate sui rototom, provvede il session men tedesco Curt Cress, che si rivela teutonico anche di stile oltrechè di origine visto che il suo drumming, tosto ma monotono e soprattutto anonimo, assolve senz'altro agli obiettivi di irrigidimento e semplificazione individuati dal produttore per universalizzare la proposta musicale dei Saga.
L'opera esce fuori inevitabilmente accattivante, brillante, ben confezionata, piacevole, orecchiabile... Viene immediatamente e potentemente sospinta da un'ampia e adeguata tournée negli Stati Uniti, intanto che il videoclip del singolo "Only Time Will Tell" alberga in (ben remunerata) heavy rotation su MTV... nulla manca perché rimanga convinta, una buona volta, anche una congrua fetta di quella moltitudine di compratori di dischi distratta e modaiola, teleguidata dal marketing delle multinazionali della musica...
Invece l'album vende meno dei precedenti, gli Stati Uniti dimostrano di poter continuare a fare a meno dei Saga su larga scala, anche in questa versione quasi del tutto pop-rock, mentre i vecchi aficionados rimpiangono vivamente il repertorio virtuoso-progressivo dei vecchi dischi... e magari i defezionari Negus e Gilmour si fanno pure due risate (amare). La faccenda va poi ulteriormente a rotoli, con la multinazionale discografica che rescinde il contratto con il gruppo, permettendosi di andare ancora più a fondo nell'arrogante salvaguardia dei propri interessi, in pratica trattenendo le royalties dei musicisti sull'opera in questione per poter rientrare più celermente dalle forti spese affrontate e rendendo necessaria una causa per ristabilire le spettanze economiche.
"Wildest Dreams" è la prima raccolta dei Saga senza canzoni memorabili, benché nessuna delle otto tracce presenti sia men che piacevole. Suona alla grande, ma non riesce a farsi amare, è fredda, calcolata, ragionata, lucidata, montata pezzo per pezzo da un ambizioso trio senza batterista e senza molta anima, quel che resta di un coeso, sfaccettato e istintivo quintetto di spumeggianti esecutori. Ian Chricton impone comunque la sua estrosa e sonorissima chitarra solista, rimasta orfana dei duetti con le tastiere e pertanto unica sponda al cantato di Sadler. Questi si dà un gran da fare per tutte le tracce nel risultare convincente e gradevole, alle prese con ritornelli (ri)puliti e lineari, ripieni di liriche ricercatamente allegre e disimpegnate.
In quello stesso anno Keith Olsen aveva messo mano, insieme a Mike Stone, a "1987" dei litigiosi Whitesnake (più di dieci milioni di copie vendute), mentre di lì a poco saprà miracolare persino gli assai meno talentuosi Scorpions, curandone il best seller "Crazy World"... Amen, questo disco risulta essere un incompreso fallimento, e perciò un grande rimpianto, in primis per questo celebrato produttore, la cui stima per la formazione canadese non verrà d'altronde mai meno. Nel futuro, infatti, i suoi studi di registrazione losangelini "Goodnight L.A." e le sue risorse e conoscenze saranno sempre a disposizione dei Saga, che non mancheranno di nominarlo e ringraziarlo puntualmente nel libretto di ogni loro cd.
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