Che critiche vuoi fare a uno che ti gira la prima guerra mondiale in piano sequenza? Anzi, mi sembra che qui ci sia modo di inquadrare meglio una tendenza ormai consolidata in certo cinema hollywoodiano, da Cuarón e Iñárritu in poi. E cioè mettere completamente in secondo piano i contenuti in favore della forma. Perché la forma alla fine è più contenuto del contenuto, soprattutto nel cinema americano di oggi. Gravity sta allo spazio come 1917 sta alla guerra.

Una Hollywood che ha raccontato ormai tutto ed è alla disperata ricerca di nuove storie. Oppure, quando le credenziali autoriali lo consentono, ridice il già detto e stradetto, ma attraverso lenti estetiche differenti, più curate, sorprendenti (un po' auto-compiaciute). Rifà il cinema classico ma con un occhio nuovo.

E allora, ripeto, che cavolo vuoi dire a uno che ti serve due ore di piano sequenza (seppur fittizio, come Birdman) tra trincee e gallerie, tra macerie e città in fiamme, tra fiumi ultraterreni e campi di battaglia mai così verdi ed estetizzanti? Cosa gli vogliamo dire? Che non dice nulla di nuovo sulla guerra? Ma per favore! Non spetta a Hollywood dire qualcosa di nuovo sulla guerra, la prima guerra mondiale per giunta.

È vero, lascia un po' freddini. È un orgasmo per il cervello ma il cuore non scalpita. Forse però è una questione personale. Ero talmente preso dai movimenti di macchina, dalla bellezza infernale delle scenografie (mai così suggestive in un film bellico), dalla cura maniacale per i dettagli, dai topi e dalle fiamme... che non mi sono lasciato prendere più di tanto dalla vicenda emotiva dei protagonisti. Solo un pochino, diciamo. Ma perché ero troppo rapito da altro, la regia mi ha preso tutto. E questo non è poco, proprio per niente.

Ovviamente, quando racconti la guerra, dici sempre tantissimo anche senza dirlo, ma non è certamente questo il motivo per cui 1917 sarà ricordato. Sarà ricordato perché la guerra non è mai stata così bella (passatemi il termine), mai stata così avventurosa, così fantasy se vogliamo. L'occhio è talmente vicino ai singoli che il carnaio collettivo diventa epopea individuale, iperbole, serpentone di peripezie. Anche la morte è spettacolare, per un regista falco come Mendes qui.

È l'opposto di Dunkirk, che rifiutava i protagonismi. Ma alla fine questo risulta persino più duro, dopo l'avventura e le vertigini assesta un paio di colpi ferali alla morale della storia... che ovviamente era un'illusione.

Non è un film di riflessione sul tema, eppure in parte lo diventa. Ma è soprattutto un ordigno che mira all'intrattenimento epico con modalità freschissime, innovative per il genere, una coesione narrativa che fa sembrare i film di prima dei collage di tessere scollegate.

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