"American Beauty" è l'esordio alla regia, datato 1999, dell'uomo di teatro Sam Mendes.

La trama è a grandi linee questa: il protagonista Lester Burnham (Kevin Spacey), comune uomo di mezz'età, racconta la sua storia dopo essere morto. Sembrava condurre un'esistenza perfetta: in realtà era infelice e frustrato, con una moglie (Annette Bening) esaurita e ossessionata dal successo professionale; una figlia (Thora Birch) tipica adolescente scontrosa; e un lavoro nel quale erano richieste una dedizione totale ed un'efficienza robotica.

Era completamente rassegnato alla sua triste situazione, quando due ragazzi, compagni di scuola della figlia, gli fanno tornare la nostalgia della giovinezza passata. Si tratta di Angela (Mena Suvari), di cui si innamora; e di Ricky (Wes Bentley), suo vicino di casa, che risveglia in lui una certa voglia di ribellione...

È l'immagine sgranata di una semplice videocamera ad aprire il film. Sullo schermo si vede una ragazza che parla con la persona che la riprende. La ragazza parla dell'antipatia che prova nei confronti del padre e l'interlocutore si offre di ucciderlo per lei. Dopo questi primi pochissimi minuti arriva il titolo, elegante, sottile, rosso su sfondo nero, il cui significato stona considerevolmente con l'immagine appena vista: american beauty, bellezza americana.

È da questo punto che, senza altri titoli, parte il vero e proprio incipit della pellicola. Si apre con un campo lunghissimo, una ripresa aerea che ritrae un quartiere borghese di villette simili e lineari, per avvicinarsi scendendo lentamente. Ora la fotografia appare pulita e i colori brillanti, in netto contrasto con la scena d'apertura. La voice over del narratore inizia a raccontare rivolgendosi direttamente al pubblico: si presenta come Lester Burnham e svela immediatamente che tra meno di un anno sarà morto (quello che vedremo da questo momento in poi sarà un intero flashback). La voce continua a raccontare, introducendo i familiari.

La moglie Carolyn viene presentata sul dettaglio di una magnifica rosa rossa che scopriamo essere parte del suo perfetto giardino. Il seguente primo piano della donna con in mano la rosa appena recisa ci svela non poche cose: anzitutto è impossibile non notare che Carolyn sta facendo giardinaggio in tailleur (anche la voce narrante segnala ironicamente "come i guanti sulle cesoie armonizzano con gli zoccoli da giardino"). Si nota sullo sfondo la tipica villetta lignea americana, di un improbabile e ottimistico color azzurro pastello. Si intravedono inoltre le case vicine, molto simili, quasi a sottolineare, insieme alla ripresa aerea dell'inizio, che la situazione che ci verrà mostrata nel film non è altro che un esempio scelto a caso nella moltitudine delle realtà familiari somiglianti di una certa America borghese.

La presentazione della famiglia viene ironicamente interrotta per introdurci (in un tipico atteggiamento americano politically correct) i vicini omosessuali, colti in un simpatico quanto inutile scambio di consigli con Carolyn in materia di giardinaggio. L'incontro dei familiari prosegue poi con Jane, la giovane figlia (nonché protagonista della terribile affermazione iniziale); si intuisce subito di che tipo di personaggio si tratta, perché ci viene mostrata in uno dei tipici momenti di crisi adolescenziale (s'imbottisce il reggiseno). Ulteriori informazioni sulla situazione familiare arrivano dalla scena successiva, quando Carolyn aspetta Lester davanti a una lussuosa jeep, sarà lei ad accompagnare la figlia a scuola e il marito al lavoro...

Il Lester narrante e il Lester narrato appaiono da subito come due figure distinte e nettamente contrastanti: uno sicuro di sé, in grado di capire chiaramente e lucidamente la realtà; l'altro idiota e rassegnato, una nota stonata nell'armonia che ci è stata presentata. Le scene d'interno di casa Burnham mostrano una serie di eleganti dettagli (fotografie, fiori); sono immagini statiche, ordinate, somiglianti a nature morte.

Anche l'immagine della famiglia a cena (a lume di candela...) risulta splendidamente centrata: il film è tutto giocato sulla contrapposizione tra la perfezione stilistica delle riprese e l'asprezza dei contenuti drammatici. Ritornano spesso però anche le immagini imperfette della prima scena; si scopre che è Ricky a produrle con l'aiuto di una semplice videocamera con la quale ama riprendere il mondo.

Con il progredire della storia, accade una trasformazione; o meglio, ha luogo la grande metamorfosi del film, per cui il contrasto tra le immagini sature e perfette della macchina da presa e quelle sgranate e tremolanti della videocamera del ragazzo si inverte. Per assurdo tutto ciò che c'è di bello, intenso e poetico nel mondo passa solo attraverso l'imperfezione delle videocassette di Ricky, mentre le "centrature" e le ricchezze formali del resto si appiattiscono a semplice ingranaggio del meccanismo di finzione della società borghese contemporanea.

Il passaggio avviene nella sequenza in cui Ricky mostra a Jane i suoi video. L'immagine è di nuovo simmetrica (i due mezzibusti dei ragazzi di spalle e il televisore al centro), ma lo zoom che compie la macchina da presa stringendo sulla sgraziata immagine dello schermo segna il superamento della finta perfezione, il concentrarsi sulla poesia di una busta di carta che vola nel vento senza curarsi del fatto che quell'immagine non sia manipolata artificiosamente. Da questo momento in poi le immagini centrate di casa Burnham appariranno ancora più false di quanto non lo siano sembrate prima. L'unico rifugio per Jane sarà farsi riprendere da Ricky, lasciarsi filtrare, come quella busta di carta, dalla poesia dell'obbiettivo del ragazzo.

"American Beauty" è il risultato di un perfetto lavoro di produzione. Un lavoro da molti frainteso e pesantemente criticato proprio perché formalmente troppo simile alle patinate pellicole che costantemente vengono sfornate da Hollywood. In realtà il film sfrutta consapevolmente quella estetica da "fabbrica dei sogni", con il chiaro intento di usarla contro se stessa.

Il film narra dell'ipocrisia e della falsità dello stile di vita delle famiglie borghesi americane; e lo fa, linguisticamente parlando, stando allo stesso gioco della società che critica: mentendo. La decisione di realizzare una pellicola su questo tema con una fotografia smaccatamente nitida e perfetta e una struttura "a incastro" da soap-opera non è imputabile a una presunta natura superficiale/commerciale del film, ma è invero un modo per sottolineare quanto la realtà possa essere ben diversa da quello che sembra al primo impatto.

Talvolta la vera bellezza di cui parla il titolo può risultare più accomunabile all'imperfezione della prima scena del film che non allo splendore visivo successivo, accettando il mondo e la vita per quello che sono, senza forzarli ad un falso miglioramento.
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