Bella voce ed innegabile presenza scenica sono doti importanti, quasi indispensabili per una cantante pop, ma ovviamente non bastano per fare un'artista completa; molte, decisamente troppe volte si sono viste ascese nell'olimpo della celebrità di personaggi che non possedevano neanche questi requisiti basilari, ma non è stato il caso di Sandra Lauer/Cretu, internazionalmente riconosciuta, anche giustamente, come un'icona "minore" del pop anni '80 e nulla più. Non sono un grande estimatore del suo ex-marito/guru Michael Cretu, pur riconoscendone il coraggio e la capacità di ottenere un notevole successo anche fuori da un ambito strettamente pop, e per quanto riguarda i primi tre album di Sandra li trovo digeribili solo a piccole dosi (Per non dire quai inascoltabili, con l'eccezione di "Into A Secret Land" dell'88, tuttosommato dignitoso), invecchiati male e nulla più che contenitori per quei 2-3 singoli di punta. Gli episodi di metà carriera come "Fading Shades" e "Wheel Of Time", perfettini ma sostanzialmente anonimi, invece mi lasciano del tutto indifferente e sulle prove più recenti non credo proprio che valga la pena di investirci del tempo, eppure anche questa bellissima e statuaria cantante tedesca ha avuto il suo capolavoro. Beh, forse non proprio un capolavoro in senso globale ed assoluto, ma "Paintings In Yellow" del 1990 è veramente un bel disco, nel suo genere direi eccellente.
"Paintings In Yellow" è quel momento in cui il proverbiale orologio rotto segna l'ora esatta, una metafora che potrebbe sembrare cattivella ma, data l'unicità qualitativa di questo episodio nella discografia di Sandra direi che corrisponde al vero. C'è un songwring ispirato, solido ed uniforme che lo rende un album vero e strutturato, c'è una voce non trascurabile ai massimi livelli di espressività e c'è soprattutto un equilibrio stilistico praticamente perfetto, ed è proprio quest'ultima la caratteristica che fa la differenza. La proposta di "Paintings In Yellow" consiste fondamentalmente in un pop in salsa new age ancora legato ai canoni stilistici degli anni '80, ma gli arrangiamenti, le melodie, le intenzioni di fondo lo rendono decisamente maturo, godibile e moderno, un grandissimo salto di qualità rispetto alla plasticosità degli episodi precedenti. L'album è ricco e piacevole, si fa ascoltare con grande piacere dall'inizio fino (quasi) alla fine grazie ad una tracklist succinta e di alto livello, del tutto priva di riempitivi. La lunga ballad elettronica "Hiroshima" è un primo antipasto della svolta new age del compositore rumeno, che azzecca una melodia coinvolgente e molto scenografica, una partenza perfetta anche perchè ha il merito di valorizzare al 100% le doti vocali di Sandra che, finalmente libera da irritanti tastieroni super-pompati (la cosa più odiosa del pop anni '80 per quanto mi riguarda), risulta assai più convincente ed espressiva.
"Paintings In Yellow" promuove Sandra in una categoria superiore, portandola a rivaleggiare con la contemporanea Maggie Reilly solista in un ambito pop/new age accessibile e moderatamente barocco, interpretato con un approccio più smaliziato e sensuale, soprattutto nel caso di una fascinosa "Lovelight In Your Eyes", oppure con raffinatezza ed un tocco esotico nei ritmi e nelle atmosfere nella tenera ballad "One More Night" e in "Paintings In Yellow", titletrack ovattata, serena ma dotata di grande efficacia scenica. "(Life May Be) A Big Insanity" propone un non originalissimo ma assai gradevole pop/funky brioso e sbarazzino che fa da ottimo contraltare ad una bellissima "Johnny Wanna Live", affascinante midtempo d'atmosfera dalle tonalità accorate e malinconiche. Non è la canzone più bella del disco e neanche la più ambiziosa, ma "The Skin I'm In" merita sicuramente una menzione speciale, nella sua assoluta non-pretenziosità riesce ad essere brillante e quasi iconica: mi piace tutto di questa canzone, il suo ritmo fresco ed inebriante, la sua carica glamour leggera e naturale, il piglio e la convinzione con cui la interpreta Sandra, perfino il testo, semplicissimo ma a suo modo significativo, "I don't care what people think, that's just because I like skin I'm in".
Purtroppo c'è anche la sòla conclusiva ovvero "The Journey", che inizia bene come una piacevole ed atmosferica ballad new age ma si perde in una coda strumentale assolutamente superflua e confusionaria in cui, per qualche misterioso motivo noto al solo Michael Cretu, sbuca fuori anche il riff di "Whole Lotta Love". In questo caso probabilmente sono io ad essere un po' troppo di parte dato che gli Enigma e progetti similari li trovo assolutamente indigeribili, ma in ogni caso questa spacconata non sposta più di tanto il giudizio assolutamente positivo su questo gioiellino pop a cavallo tra anni '80 e '90, che unisce in un amalgama gustoso ed attraente alcune delle qualità migliori dei sounds dominanti delle due decadi. Complimenti a Michael e Sandra, anche se nel proseguo della carriera non sono stati in grado di mantenere la categoria questo rimane un signor disco, che merita di essere riscoperto e valorizzato a dovere.
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