Rare volte mi è capitato di apprezzare un gruppo tanto da non poter fare a meno di ascoltare uno qualsiasi dei suoi album almeno una volta alla settimana. Soprattutto in ambito doom metal, dove (purtroppo) una certa mancanza di qualità e originalità cominciano a farsi sentire, c'è una band mai fin troppo conosciuta e amata dai più che a ogni nota, a ogni riff di chitarra fa sanguinare il mio cuore e fa muovere la mia mente verso pensieri di dolcissima tristezza. E' il caso dei Saturnus, che, almeno per quanto mi riguarda, prima con "Veronica Decides To Die", poi con il qui presente "Martyre" (ad esso precedente), sono riusciti a dare forma a quello che a parer mio è uno dei doom più eleganti, mesti, maestosi eppur facilmente assimilabili finora composti.

Le sei corde tracciano tessuti ora grezzi, pesanti e mortificanti come cilici su nude spalle, ora fili dolenti ma dolci e soavi che, come invisibili mani, ti abbracciano e ti cullano. Un cantante fin troppo eccelso fa da traghettatore attraverso queste desolate terre, audace cantore di desideri mai realizzati, di passioni a lungo relegate nell'oblio e di romantiche (letterariamente e artisticamente parlando) dichiarazioni a lume di una flebile luna, su prati bagnati da una bassa nebbia costeggiati da un sinuoso fiume dal lento scorrere.

Un eccezionale lirismo viene esaltato in pezzi come "Inflame Thy Heart", una volontaria esposizione al dolore e cosciente tortura, che tocca uno dei suoi apici con la bellissima "Noir", benedetta ancora una volta da una paurosa armonia tra tutti gli strumenti e guidata nuovamente dalla voce in clean di Thomas, dimessa e lacerante, una preghiera tesa al superamento di un dolore latente mai passato, una tristezza dettata dal fantasma di una persona che una volta ti teneva per mano, e che ora ha deciso di seguire una strada diversa, lontana da te.

Commuove il lavoro alle chitarre in "Softly On The Path You Fade", straziante e annichilente, pezzo ripreso per contrappasso dalle fiere e orgogliose "A Poem" e "Lost My Way", sentieri tracciati su una terra fatta di malinconia e di tristezza, alle quali si cerca una cura nella rabbia rancorosa e torbida, seppur ragionata, urlata in growl profondo e ferale dal singer.

"Thus My Heart Weepeth For Thee" è poesia nella poesia, degna chiusa di un lavoro eccelso, un dipinto primo ottocentesco rimasto a lungo velato ma la cui classe cristallina si merita risalto e tributo. Credo che ogni ascoltatore sia in grado di individuare, nel disco, almeno una traccia che possa adottare e sentire come sua: tutti i pezzi sarebbero da menzionare per un qualsivoglia motivo, tale è la bellezza dell'album in questione.

Onore ai Saturnus dunque, musicisti di grande abilità con un merito enorme, quello di aver donato nuovamente al doom quello spirito letterario-filosofico-artistico che aveva agli inizi e che, col tempo, si è un po' perso. Un disco, "Martyre", che metto tranquillamente sullo stesso livello di "Veronica Decides To Die", entrambi intensi, raffinati e sconvolgenti come una piccola cosa che, ad ogni risveglio, ti fa trovare la forza per infondere tutte le tue energie in ciò in cui credi.

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