1993. Appena raggiunta la maggiore età, Sigurd Wongraven sforna un capolavoro da pelle d'oca: "Dark Medieval Times". Questo disco è un'istituzione in campo Black Metal e a mio parere il cd migliore per quanto riguarda la simbiosi tra atmosfera nordica e violenza estrema. Sette tracce, un unico lungo viaggio nelle terre dell'estremo Nord, una ricerca della trascendenza concessa solo agli spiriti elevati. "Dark Medieval Times" presenta una produzione grezza, delle chitarre dal suono confuso e pastoso, il solito tecnicismo alla batteria ad opera di Kjetil a.k.a. Frost. Il tutto è condito dallo screaming (già ottimo, anche se non particolarmente caratteristico) del frontman Satyr. Come posso tentare di comunicare le sensazioni che questo platter mi regala ad ogni ascolto? Posso assicurare che è un'operazione alquanto complessa, ma ci proverò.

L'opener "Walk The Path Of Sorrow" si apre con un'intro sinistra, poi sfocia improvvisamente in una sfuriata maestosa, crudele, che a sua volta si trasforma in una malinconica melodia di chitarra acustica. La traccia è un susseguirsi di blastbeats e motivi maggiormente riflessivi, guidati dalle ottime tastiere del misconosciuto Torden. Il tempo di assimilare questo gemma di pura arte e veniamo gettati nel vortice della titletrack.

"Dark Medieval Times" è forse la miglior canzone del lotto. I primi due minuti sono dominati da un riff maligno accompagnato dalle urla di Satyr, poi improvvisamente la strofa assume alterigia, nobiltà... in queste note possiamo sentire la misantropia derivante dalla superiorità incondizionata, la sapienza derivante dal rifiuto del contatto con i comuni mortali. Ed ecco che improvvisamente appare la chitarra acustica, che dispensa la sua magia in un crescendo ipnotico. Anche questa traccia è un continuo alternarsi di due motivi portanti: quello melodico, composto dalla sinfonia acustica ed evocativa, quello elettrico, indomito e fiero.

Passiamo a "Skyggedans", la danza delle ombre. Questa è la canzone più compatta del platter, di durata inferiore ai quattro minuti; è probabilmente anche la più diretta e di facile assimilazione. Dunque è una traccia debole? Niente affatto. Ci troviamo al cospetto di una signora composizione di puro Black Metal, nella quale troviamo facilmente le orme di quei Darkthrone sempre elogiati dal drummer Frost. Escludendo il classico stacco acustico centrale, la canzone si basa su riff gelidi, coadiuvati spaventosamente bene dalle tastiere, che si rivelano fondamentali nel sound della band. A mio modo di vedere i primi Satyricon sono stati il gruppo che meglio di ogni altra nel Black Metal è riuscita ad integrare le tastiere nel proprio muro sonoro, rendendole parte integrante della loro "aggressione atmosferica" senza per questo conferire loro il ruolo di protagoniste assolute. Torniamo ora all'analisi del disco.

Dopo la canzone più diretta troviamo, per un immaginario contrappasso, quella più dilatata ed atmosferica. "Myn Hillest Til Vinterland". Qui il combo norvegese sublima la propria anima più folkish e sognante in partiture acustiche che non hanno più nulla da spartire col Black Metal. Flauto, chitarra e la voce grave del frontman a pronunciare poche parole in una lingua a noi incomprensibile; tutto questo, unito al perenne effetto dello spirare del vento, crea un mood unico nel suo genere, che esprime solitudine, malinconia, nostalgia per la perdita delle "cose che erano una volta" (citando un altro artista di fondamentale importanza in campo Black).

La traccia numero cinque è "Into The Mighty Forest". Altra traccia, altro capolavoro. Un serrato riffing creato tramite la sovrincisione della chitarra acustica ed elettrica, un tappeto di tastiere e uno screaming lacerante attaccano con consueta maestria; l'ascoltatore viene trascinato in un vortice di visioni dove l'oscurità della natura innevata si unisce a quella dell'animo umano, e si ritrova a vagare con la mente in paesaggi perduti mentre l'ultimo, splendido giro di chitarra conclude quest'altra magnifica composizione.

"The Dark Castle In The Deep Forest". Potrei limitare al titolo perfettamente calzante la mia descrizione di questo frammento, questa finestra aperta su età oscure e riti malvagi, rovine abbandonate infestate da spiriti senza riposo. Il suono delle chitarre è una massa informe, malevola nel suo incedere inarrestabile. La melodia stessa è malata, inquietante...una litania accompagnata dala voce di Satyr, ridotta a un sussuro, il sibilo tormentato di un'anima in pena condannata a vagare in eterno. Un altro riff sostanzialmente perfetto, paragonabile a quello della traccia precedente, conclude questo penultimo capitolo.

"Taakeslottet", il castello della nebbia, è l'ultima atto di questo incredibile lavoro. Troviamo anche qui delle vocals sussurrate, ma questa canzone non è paragonabile a "The Dark Castle In The Deep Forest". Dove quella era inquietante, questa è solenne. La traccia procede solenne, lenta ma inarrestabile. Satyr concede un ultimo stacco acustico, come sempre sublime, prima che il suono di un gong dia il via ad una possente marcia verso la Fine, sostenuta dal drumming marziale di Frost, davvero ottimo.

Non intendo sprecare ulteriori parole. L'imperativo categorico per ogni Metalfan (anzi, per ogni amante della buona musica) è di possedere questo cd. Un classico imprescindibile.

P.S.

Come per la mia recensione di "Nemesis Divina", mi sono permesso di riproporre un album già recensito contravvenendo alle norme di comportamento autoimpostemi. Tuttavia, la mia scusante è che le due recensioni precedentemente pervenute a DeBaser riguardo a questo platter sono una spudoratamente copiata, l'altra una evidente presa in giro. Spero che il mio gesto non si riveli troppo audace.

Regards.

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