I canadesi Scare sono al secondo album e dopo il debutto “Not Dead Yet, Probably..” del 2019 tornano nel 2025 con questo nuovo “In The End, Was It Worth It?”

Quest’album già dalla copertina non fa che presentare un nero pessimismo verso la vita e la società più in generale, le ansie, le tensioni e le paure che sfociano in questa realtà moderna, non a caso il brano d’apertura s’intitola “Nevermind If It All Explodes, I’ll Die Anyway”. A livello musicale abbiamo un vero martellamento sonoro a base di Hardcore metallico strettamente imparentato con lo Sludge, il Crust e il Grind. Quindi pezzi che durano all’incirca sui due o tre minuti e sempre spinti sul piede dell’acceleratore. Le urla bestiali di Philip Roy ben si aggregano al comparto sonoro che il gruppo propone con vere spine nel fianco dell’ascoltatore con pezzi come “PMA: Pessimistic Mental Attitude” un vero colpo al cuore per i nostalgici di gruppi quali primi Converge o Coalesce, qui si esprime rabbia vera, rabbia pura e rigonfia di sudore e passione.

Esplosivi i riff della chitarrista Gabrielle Noël-Bégin tra granitici palm-muting, esplosioni al vetriolo e assoli al fulmicotone che durano il breve spazio di pochi secondi, “Drifted Away” mantiene i giri dell’orologio sempre a livello sostenuto grazie a ripartenze dal sapore Sludge e alle rullate potentissime del batterista. “The Black Painting” ha un tiro Crust-core e d-beat con le urla sofferenti di Philip Roy, “Thrash Melrose” porta davvero una ottima timbrica grazie ad un assolo di chitarra sapientemente studiato e che sta a pennello sul caos prodotto dalle vocals e dagli altri strumenti così come “Crowned In Yellow” non perde un’oncia della sua rabbia e della sua potenza con quei riff neri come la pece supportati da variazioni ritmiche dove la chitarra crea trame solistiche sicuramente apprezzabili.

In “Doomynation” e in “Jeanne Dark” le aperture sono affidate a parti strumentali elettro/acustiche ( si sente anche la melodia fatta da un piano nella seconda) per poi ripartire col solito macilente Post-Hardcore degli abissi. Un furore che si cela dietro basso, chitarra, batteria e voce che lascia a terra storditi per la quantità di malessere che fuoriesce da queste canzoni. In “Midnight Ride” e “Turbograine” i tempi non rallentano anzi a furia di distorsioni e urla acide sembra come di assistere a un fluire denso di sangue su una ferita aperta. “Harakiri Ton Industries” parte come un colosso dai potenti connotati Sludge Metal per poi velocizzare e continuare ad esorcizzare i propri demoni interiori con la formula HC imbastardita col Crust più crudo e violento che sia dato ascoltare.

Nelle ultime due tracce “Reality Of Death In The Maze Of Hope” e “Doomynation 2” (in quest’ultima si sentono giri di chitarra elettro/acustica prima delle esplosioni HC) i giri del motore non subiscono rallentamenti con riff in palm-muting spessi e densi, per poi andare in vorticosi blast-beat e mostrarci tutta la forza motrice che la band riesce a trasmettere in termini di impatto sonoro.

“In The End, Was It Worth It?” ci mostra il lato oscuro dell’animo umano e lo fa con tredici tracce per la durata di trentuno minuti davvero poderosi e che ricordano le gesta di album entrati nella storia del genere come “When Forever Comes Crashing” o “0:12 Revolution In Just Listening” e lo fa con una identità propria priva di sdoganamenti ma con una legittima maturità artistica giunta ora al suo secondo album.

Alla fine, ne è valsa la pena? Io direi proprio di sì.

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