Tratto da un libro autobiografico di Jim Carroll, scrittore e musicista, questo film dell'allora esordiente regista Scott Kalvert narra la storia di un gruppo di amici della New York fine Sessanta, (semplici ragazzi, studenti, giocatori di basket nella squadra della scuola) e dell'inesorabile piega che, a volte, un susseguirsi di eventi negativi possono far prendere alla vita.
Prima è il divertimento, il gioco, le risate; poi il degrado, i bassifondi, l'eroina.
Non c'è via di fuga per questa gioventù ai margini che conosce fin troppo presto gravi drammi quali la perdita di un amico per malattia, la prostituzione, la droga. Il marcio della società è riversato sulle spalle ancor deboli di piccoli uomini a cui la situazione ed in generale la vita, scivola di mano.
Il progressivo ed incontrovertibile capitolare di ogni personaggio e del protagonista in primis, viene descritto come solo una persona che realmente ha provato sulla propria pelle queste esperienze può fare, così come lo squallore palesato in luoghi e azioni che viene reso perfettamente dalle interpretazioni degli attori ( tra cui ricordiamo un giovanissimo Leonardo Di Caprio impersonare Jim splendidamente).
L'autodistruzione causata da quella scappatoia talmente paradisiaca in principio e dai risvolti infernali in seguito, è trattata passo per passo lasciando intravedere a sprazzi e nonostante i ritmi pregni e concitati del film, le personalità in declino annullarsi e toccare il fondo. Suggestive alcune scene soprattutto quelle in cui il vissuto si racconta in tutta la sua crudezza, ed un'altra particolare che cito, che vuole una partita di basket vista al rallentatore, sotto una battente pioggia, coronata dal sottofondo musicale di "Riders on the storm" dei Doors, a mio avviso toccante.
Il titolo in lingua originale della pellicola datata 1995 è "The Basketball Diaries" e non a caso sorge spontanea la riflessione su cosa sarebbe dovuto accadere a giovani promesse di questo sport e su come tirare a canestro poteva rivelarsi una terapia migliore di qualsiasi viaggio artificiale, per fuggire da una sorte avversa, dal non-buono, e persino da se stessi.
Per una volta la scelta del titolo in lingua italiana merita una nota positiva: "Ritorno dal nulla" è quantomeno azzeccato come appellativo, ed altro non aggiungo.
In ultimo, motivo le quattro stelline che sarebbero benissimo potute essere cinque ma che, avendo letto il libro, ne perdono una non per demerito ma perché il racconto catturato in quelle pagine da Jim Carroll è sicuramente e maggiormente degno del massimo dei voti.
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