C’è qualcosa di ipnotico e assuefacente nella musica di Sd Laika.

Conoscete quella sensazione di curiosità, verso qualcosa di misterioso, ma per qualche strana ragione affascinante? E dico misterioso perché non si sa molto di questo progetto, uscito nel 2014 via Tri Angle Records.

Sappiamo almeno chi si cela dietro tutto ciò, ossia Peter Runge, giovane di Milwaukee alla prima esperienza su full-length, dopo il piccolo ep, uscito nel 2012, Unknown Vectors. Peccato che questa persona sia una sottospecie di fantasma, un ectoplasma, un’apparizione momentanea che non lascia tracce.

La sua musica, al contrario, è qualcosa di tangibile e altamente tossico, inquinante. Un prodotto suddiviso in undici passaggi, undici scorie fumanti di non-musica, ibrida ed alienata, in simbiosi tra il claustrofobico rumorismo di scuola Whitehouse e gli stravaganti, ma ordinati, collage di Aphex Twin e Burial.

Ma andiamo con ordine.

All’orecchio That’s Harakiri suona quasi datato, obsoleto. La resa sonora è (volutamente?) rarefatta.

Un grigiore urbano in cui le macchine sono sì arrugginite, impolverate, scricchiolanti, ma continuano a pulsare, con energia, in quella che è una produzione oscura e strettamente lo-fi che sa coniugare IDM, grime, glitch music e noise alla techno più vivida e densa di scuola UK. Bassi possenti, ma mai statici o monotoni, sempre in tensione, coadiuvati da sottostrati vapor di voci, sintetizzatore e campionamenti.

Prendete “Great God Pan”, “You Were Wrong” o “Don’t Know”, e in questi continui battiti sinistri, persino tribali (!) talvolta, anche quando la musica stessa risulta esasperata dal suo essere così pesantemente acida, l’ascoltatore potrà trovare un’insana dipendenza. Dipendenza per una forma canzone quasi inesistente, ma allo stesso tempo ricca di punti di riferimento e momenti memorabili, come in “Remote Heaven”, ottima da abbinare al vostro sci-fi film preferito.

In mezz’ora e poco più di intensità robotica e industriale, That’s Harakiri è un esperimento riuscito. Un sound diverso, infettivo, un delirio che sarà particolarmente gradito da tutti quelli in amicizia con quell’elettronica più meccanica e morbosa, lontana da sonorità radio-friendly a tinte colorate.

Un saluto ai lettori di Debaser!

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