A 32 anni dalla pubblicazione, viene riproposto in versione “deluxe” il debutto di questo ragazzone dalla voce soul, dalle molteplici cicatrici e dall’animo tormentato.

L’antefatto è che prestò la voce ad Adamsky per “Killer”; un mese dopo nessuno si ricordava più del Dr Adamsky mentre Seal, con “Crazy”, era entrato nel cuore dell’ascoltatore medio che snocciolava pop da MTV e consorelle.

Le aspettative erano alte, lui per primo dettò condizioni precise. Trevor Horn alla produzione, mica Cecchetto. Per dire: con quella voce, siamo pronti ad investire.

Ne scaturì un album eterogeneo, solido, funzionale al periodo. Elettronica, acustica, sfumature soul: il disco piacque ma chi vi scrive non ne fu del tutto convinto. Ancora oggi, all’ennesimo riascolto, colgo qualche frangente di incertezza, migliorabile, sanabile.

La maggior parte dei brani nasce bene, si sviluppa con il giusto ardore, ma si rispecchia troppo. I refine si ripetono, eccessivamente, e sul finire la melodia non sprinta, e l’ascoltatore rischia di annoiarsi. Certo è che per l’età, sebbene fosse coautore quindi con paternità relativa nei testi, Seal mostrava di esserci, di plasmarsi con il mondo piazzandosi sopra la media.

L’album è presto detto: 9 brani tra i quali spiccano The Beginning, Deep Water, Crazy, Killer e Violet. Gli altri episodi sono trascurabili. Con Violet serve pazienza. In prima battuta, nei miei 15 anni, la trovai melensa e vuota. Poi, riascolto dopo riascolto, ne colsi la morbidezza, l’onda magnetica. Un gran bel pezzo, insomma.

Questa riedizione annovera qualche remix, rarefatte b-sides e i “premix” che poco o nulla aggiungono o tolgono agli originali, serve orecchio fine per cogliere le sfumature di diversità.

Trovai più corposo il successore, “Seal 2”, datato 1994. Forse più studiato, forse più pensato. Questo “Seal” è un far capolino distratto ma efficace, un atto di presenza in un panorama, quello del 1990/91, che si apprestava a congedare il pop patinato in favore della dance colorata ma più elettronica dei Technotronic, del primo brit pop e del grunge.

Seal è sempre stato un gradino sopra, o sotto. Comunque sempre rigorosamente sovrappensiero. Non ha mai voluto fare rivoluzioni o rivelazioni, semplicemente, in calce agli album, annotava: è il meglio che ho da offrire, take it or leave it. Questo prima della depressione del 1997/98, ma ne parleremo a tempo debito. Sempre che ne abbia voglia, nobili (cit.).

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