Dei capostipiti delle grandi saghe horror sorte tra la fine degli anni '70 e la prima metà del decennio successivo, "Friday The 13th" ('80) è, con buona probabilità, quello invecchiato peggio.

Se "The Evil Dead" ('82) rimane a tutt'oggi un piccolo gioiellino di regia e humour, se il primo "Halloween - La notte delle streghe" ('78) ha dalla sua la propria storicità e le intuizioni registiche dell'allora semisconosciuto Carpenter, se "Nightmare - Dal profondo della notte" ('84) ci regala un Wes Craven forse al top della sua creatività votata all'horror e una carriola di effettacci speciali, nulla di tutto questo può dirsi del primo capitolo della saga che vede per protagonista lo sfortunato Jason Voorhes.

La storia, per chi non la conoscesse, è quella di un gruppo di giovinastri (tra cui spicca un esordiente e mascellatissimo Kevin Bacon), ritrovatisi a passare l'estate lavorando in un campeggio sulle rive dell'incantevole "Lake Placid". All'insaputa dei nostri eroi, però, il Camping viene considerato un posto maledetto da quando, un venerdì 13 del 1957, uno sfortunato bambino di nome Jason morì annegato nelle acque del lago, tra la semi indifferenza dei responsabili del campeggio (al momento troppo impegnati a scambiarsi affettuose sconcezze). Da allora, il Lake Placid Camping è stato teatro di tutta una serie di fatti strani e tragici, tanto da meritarsi l'appellativo di "Il mattatoio", e ogni tentativo di riportarlo in attività è stato soffocato nel sangue..

Insomma, la formula è più o meno quella che tutti conosciamo dai tempi di Hansel & Gretel: prendi gli ignari e piuttosto cazzoni protagonisti della storia, isolali all'interno di un ambiente limitato, privali di ogni possibilità di trovare aiuto dall'esterno e lasciali in balia di un "cattivo" che conosce il territorio molto meglio di loro. Un intreccio piuttosto banale, spudoratamente debitore, non solo nell'ambientazione lacustre, di quel "Reazione A Catena - Ecologia del Delitto" di Bava del '71 (che in pratica è il Barbapapà di tutti gli slasher!), cui vanno ad aggiungersi qualche forzatura (il poliziotto che molla il proprietario del campeggio ai margini della foresta), qualche imprecisione (i tempi filmici completamente sballati nella prima parte) e, perché no, alcune banalità di sceneggiatura (l'imprescindibile problema al generatore che lascia al buio il campeggio). I protagonisti della vicenda, poi, ben lungi dal poter vantare qualcosa che possa anche solo ricordare uno spessore psicologico superiore a quello di un asciugamano, risultano rappresentati in maniera piuttosto semplicistica e stereotipata e paiono ricalcare le consuete "macchiette giovanilistiche" quali il fusto, la bella, la saputella etc etc. Lo stesso Cunningham non si rivela certo un prodigio della macchina da presa: basta confrontare il primo inseguimento nella boscaglia (con protagonista la povera aspirante cuoca Annie), con la riprese ciondolanti a fil di sottobosco dell'esordio di Raimi, per rendersi conto di trovarsi di fronte a un regista dignitoso, ma non certo un genio.

Cosa salvare, allora, in questa babilonia di mediocrità?!

Beh, non molto. Forse solo l'essenziale. Perché, a dispetto di tutti i suoi difetti, "Friday The 13th" raggiunge (ma forse sarebbe più corretto dire "raggiunse"), quello che verosimilmente era il suo scopo principale: intrattenere il pubblico regalandogli momenti di vero terrore, per di più utilizzando un budget relativamente ridotto. Non a caso, i momenti migliori rimangono quelli degli omicidi (grazie anche alla sapiente mano del fino artigiano del gore Tom Savini), il colpo di scena finale (non quello rovinato da Craven nel primo "Scream") è gustosissimo e il delay che accompagna le soggettive dell'assassino è, tutto sommato, una discreta trovata, tanto da essere divenuto col tempo uno dei marchi di fabbrica dell'intera serie. Il vero problema, piuttosto, è il ritmo davvero altalenante della pellicola presa nel suo complesso, imputabile essenzialmente ad una manciata di scene piuttosto soporifere che inducono lo spettatore a disinteressarsi allo svolgersi della vicenda e ad attendere con ansia il prossimo assassinio.

Un film imperfetto ed ingenuo, quindi, ma tutto sommato capace di riciclare e riproporre alcuni dei cliché del genere in maniera sufficientemente efficace. Il primo (e insuperato?) capitolo di una saga che, a ben vedere, ad eccezione della maschera del suo protagonista (a partire dal terzo capitolo,"Weekend di terrore" dell''82), col tempo entrata a far parte dell'immaginario horrorifico collettivo, non ha poi lasciato granché alla storia del cinema.

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