La Fonal Records è un’etichetta finlandese indipendente, famosa per aver campionato molti gruppi locali, attiva dalla metà degli anni ’90 e gestita praticamente a livello familiare. Fanno tutto quello che dicono loro da soli, negli spazi di un palazzetto adibito a studio. Si prendono cura di ogni aspetto produttivo, dall’ingegneria del suono al packaging, con un gruppo ben assortito di persone che vivono in un ambiente colorato e creativo.

Gli Shogun Kunitoki, invece, sono un quartetto di ragazzi della stessa terra dei laghi, che hanno in testa un ambiente colorato e creativo e che, nonostante le sperimentazioni sonore su base Commodore 64 avviate nel 1998, solo nel 2006 hanno realizzato il full-lenght album d’esordio dal titolo Tasankokaiku. Label, ovvio, Fonal Records. Un incontro perfetto che rende denso il lavoro degli SK e arricchisce la fucina dell’etichetta con un gruppo insolito e di sicuro interesse, certificato dagli apprezzamenti worldwide ricevuti da critica (molte le recenioni sul web) e pubblico.

La sera torno a casa con il tarlo del logorio da abuso di pixel e generalmente ci metto su porcherie anestetiche per provare a smorzare tutto. Cazzata. Il tarlo s’infervora e rode fino in fondo, fino allo scudo di buon senso della responsabilità (su cui c’è scritto CAZZONE, DEVI DORMIRE) perforandolo e andando ad attivare il feticcio a forma di cuore per qualcosa di ancor più logorante, da rincoglionimento, s’il vous plait. È così che ho scoperto gli Shogun Kunitoki, in una notte dove le allucinazioni non mi bastavano più e per sopperire alla bandiera bianca uscitami fuori dall’orecchio, ho mandato le mani a digitare parole confuse su gugòl fin quando non è venuto fuori questo link da bave colate fin sulla maglia della salute con scollo a V sui peli del petto. Ghigno porcello di soddisfazione e via.

Era proprio quello che stavo cercando. A dispetto di tanta elettronica /drone /ambient glaciale, ostile e straniante, e a dispetto di tante piroette synth pop da dancefloor, fin troppo pop per i miei gusti, ho trovato qualcosa di nuovo in Tasankokaiku. I ragazzi della croce blu su fondo bianco partono da un concetto che suona più o meno così: il nichilismo dell’elettronica odierna non ha il coraggio di guardare al futuro. È diventato presente e non se ne vuole rendere conto. Si dovrebbe tornare ai propositi degli anni ’60, a quel modo di  proiettarsi in avanti. E l’elettronica che sarà ma nel 2010 - anche grazie a loro - già è, è un edificio caldo e pieno di tutti i comfort della domotica in cui si vive in coabitazione al bacio insieme a loop psych/elettrici che mantengono alti voltaggio e temperatura della struttura. Perché questo album è strutturato.

Nell’insieme si riconoscono chiare le singole parti messe in scena dai quattro amanti del Commodore 64: una vasta conoscenza della musica dall’acid rock all’elettronica anni ’60, una visione allargata alle migliori composizioni per soundtrack (dicono proprio di ispirarsi anche a Morricone), una capacità da menti divaricate nel saper unire influenze che vanno dagli The United States Of America (c’è una gran bella recensione di psychopompe in merito) ai Broadcast, birmingamesi a cui fanno un evidente riferimento. A questo aggiungerei che, tra i tanti, mi hanno fatto pensare anche ai Vanilla Fudge e al post rock di innumerevoli gruppi ma, in particolare, quello un po’ math dei belfastesi And So I Watch You From Afar. Ma è meglio non correre troppo, il tarlo era in agguato.

Non ci sono parole in questo album in cui tutto è basato sull’individuazione di dinamiche psicotrope dalla potenziale lunga gittata che non vengono interrotte da una ferma chiusura ma solo dal benestare dei nostri. Questo è l’unico limite davvero evidente che ho trovato in Tasankokaiku: gli SK decidono di non esagerare e di mettere a bada le loro vibrazioni in tempi sempre decisamente contenuti. Non che ami le malattie mentali di un Burzum da 25 minuti, però certi stati di trance avrebbero potuto durare di più. Ci sono comunque brani davvero interessanti e ingripposi, come ad esempio l’introduttivo "Montezuma" dall’ossessiva reiterazione di un motivo abbastanza misterioso e sessantino sotto cui intervengono bit a mo’ di noise guitars fino all’intervento della drum. A quel punto si scatena un delirio lucido da acid rock infestato di “woa woa” sintetici che sembrano segnare il momento più importante della messa dell’elettronica. In questo brano c’è già tutto: i pochi suoni elaborati in mille distorsioni computeristiche sembrano adatti a stabilire un contatto con gli alieni per la nuova versione degli Incontri Ravvicinati. Su questa buona onda crepuscolare e barocca si va per tutto il resto della release, calda ed avvincente in pezzi come "Tropiikin Kuuma Huuma", di germanica derivazione.

Tirando le somme, o meglio, sintetizzando, mi sembra proprio che questa sia una psichedelica polimorfa ed intelligente, colta ed artistica, ben costruita ed attenta a stare dentro e fuori certi paletti. Quello che manca non lo so, magari me lo direte voi.

Elenco tracce e video

01   Montezuma (04:52)

02   Leivonen (05:08)

03   Tropiikin Kuuma Huuma (05:35)

04   Daniel (04:19)

05   Tulevaisuus-Menneisyys=1 (03:13)

06   1918-1926 (04:49)

07   Piste (05:32)

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